Nasce il governo che già ha stabilito una serie di primati. In un’epoca in cui si misura il successo politico sulla frase “Il primo a …”, questo esecutivo merita già l’ingresso nel Guinness. Ma siccome pensiamo che a forza di misurare la politica in questo modo la si è sciupata e svilita, riteniamo essere per Giorgia Meloni quanto mai riduttivo schiacciarla nel ruolo della prima donna e della prima esponente di destra a compiere il Gran Passo. La si lasci lavorare, e lei eviti di usare magari frasi simili e “lasciate fare il manovratore”. Non portano troppo bene.
I prossimi mesi, già le prossime settimane, saranno difficili. Sergio Mattarella ha voluto fare in fretta: il suo non è un endorsement ma nemmeno un rifiuto. Semplicemente: ha vinto, governi. Se non dovesse farcela, non si attacchi all’idea che si debba andare immediatamente ad elezioni anticipate a titolo riparatorio. Ricordati che sei un uomo, prima donna: come ai tempi dei trionfi degli imperatori. Soprattutto, ricordati che la Costituzione dà infinite possibilità alla nascita di governi alternativi, basta che abbiano la maggioranza in Parlamento. E Fratelli d’Italia in fondo rappresenta un quarto abbondante dei voti espressi. Gli altri tre quarti possono fare quel che vogliono, e di più non si pretenda.
Ora, parlare di fine il giorno dell’inizio può sembrare poco elegante; purtroppo è necessario. Berlusconi ha lasciato intendere che dirà quello che vuole, e Tajani si arrangi. Il pericolo vero però viene da Salvini: è lui che, chiotto chiotto, farà il numero due, controllerà con Giorgetti l’economia e potrà, magari, un giorno staccare la spina. Fin da subito ha ricordato che ha cento parlamentari: aggiunti a quelli di Berlusconi vuol dire insostituibilità. Magari le tensioni interne al suo partito (leggi Bossi e malumori veneti) lo spingeranno a tagliare il cordone ombelicale, e non sarebbe un Papeete. Sarebbe, semmai, l’inizio della fine perché – pensiero inquietante che nasce un poco strisciante – il sistema della cosiddetta Seconda Repubblica ha in Giorgia Meloni la sua ultima risorsa.
Tutte le possibili alternative sono state giocate, hanno fallito, sono esaurite. Il Pd lo è dai tempi di Renzi, poi è stato il turno di Salvini e di Conte (non lasciamoci ingannare: chi scende dal 33 al 16 percento non gode certo di ottima salute). Renzi e Calenda non hanno sfondato nelle urne, e già si guardano in cagnesco. Quanto a Berlusconi, è da quando contò fino a tre alle spalle di Salvini che è sul viale del tramonto. Ed era il 2018. Oggi si è dovuto accontentare della mimica facciale.
Ecco che Giorgia sarà pure la prima donna, ma è anche l’ultima spiaggia di una fase lunga e tormentata della storia repubblicana che regge ormai l’anima con i denti: lo dimostra il fatto che il suo 24 percento è un quarto sì, ma dei voti espressi. L’astensione è la spada di Damocle su un regime politico che fa finta di niente e intanto perde credibilità. Il crollo, se non s’interviene in tempo, potrebbe essere clamoroso. I sondaggi indicano in un terzo degli intervistati la quota degli italiani che non si identificano in nessuna delle forze parlamentari, ci si rifletta su e si metta mano all’unica vera riforma di cui c’è bisogno: la legge elettorale.
Ridiamo lo scettro al Principe, che è il corpo elettorale, con un proporzionale. Altro che presidenzialismo e altre fughe dalla realtà: il sistema è malato e, se Giorgia Meloni vuole evitare la fine di Liz Truss con il suo conservatorismo astruso e velleitario, agisca sui problemi concreti. E soprattutto si dica tutti i giorni di fronte allo specchio: “Ricordati che sei una donna”.