Giorgio Napolitano è una figura di grande rilievo nella storia dell’Italia repubblicana. Dopo aver partecipato in anni giovanili alle iniziative culturali dei Gruppi universitari fascisti – era appassionato di teatro – si iscrisse nel 1945 al Partito comunista italiano, divenendone poi un dirigente di spicco. Ma, all’interno di questo partito, ha sempre occupato una posizione particolare: ha fatto parte, infatti, della cosiddetta corrente “migliorista”, così chiamata ironicamente per la convinzione dei suoi esponenti che non si dovesse necessariamente abbattere il “sistema” ma che si potesse cambiarlo profondamente con riforme dall’interno. Guidati da Giorgio Amendola, i miglioristi hanno cercato di sviluppare il dialogo con le forze democratiche italiane, nella prospettiva di trasformare il Pci in un partito socialdemocratico.
Giorgio Napolitano, in particolare, ha seguito la stella polare dell’europeismo: Dal Pci al socialismo europeo si intitola non a caso la sua autobiografia politica. Dopo aver appoggiato l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, promosse invece l’espressione di un “grave dissenso” dei comunisti italiani nei confronti dell’invasione della Cecoslovacchia nel 1968. Negli anni Settanta Napolitano fu molto attivo nel tessere i contati con i socialisti di altri paesi europei, aprendo la strada all’ “eurocomunismo”, il più importante tentativo dei comunisti europei di collocarsi su posizioni filo-europee e di autonomia da Mosca. Nel 1978 fu il primo dirigente comunista italiano che ottenne il visto per gli Stati Uniti (seppure in forma privata) e nel 1979 prese apertamente posizione – con la maggioranza del suo partito – contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979. Critico dell’isolamento del Pci all’opposizione e della mancanza di cambiamenti radicali del suo partito negli anni Ottanta, ne sostenne la trasformazione dopo il 1989 e aderì al Partito democratico della sinistra.
Deputato dal 1953 al 1996 – tranne il periodo tra il 1963 e il 1968, Napolitano divenne Presidente della Camera nel 1992 e nel 1996 Romano Prodi lo nominò ministro dell’Interno, primo ex comunista a ricoprire tale carica. Con Livia Turco propose quella che è poi è diventata nel 1998 la legge Turco-Napolitano sull’immigrazione extracomunitaria. E’ stato europarlamentare dal 1989 al 1992 e poi di nuovo dal 1999 al 2004. Nominato senatore a vita, nel 2006 è diventato l’undicesimo Capo dello Stato dell’Italia repubblicana. Pur eletto da una maggioranza di centro-sinistra, è stato davvero presidente di tutti gli italiani, come molti gli hanno riconosciuto. Ha continuato la linea europeista di Carlo Azeglio Ciampi, contribuendo ad affermare il ruolo del Presidente della Repubblica quale difensore della collocazione europea dell’Italia, proseguito poi anche da Sergio Mattarella.
Nel 2011 ha vissuto il momento più difficile della sua presidenza. L’Italia si è trovata infatti al centro di una bufera economico-finanziaria che il governo Berlusconi faticava ad affrontare. Napolitano, tuttavia, rispettò l’azione di questo governo, anche nei momenti più critici, finché ci fu una maggioranza parlamentare che lo sosteneva. Ma quando questa venne meno e Berlusconi si dimise, decise di non andare ad elezioni anticipate e scelse un “tecnico”, Mario Monti, per costituire un nuovo governo: si formò così un “governo del presidente” sostenuto in Parlamento da una fiducia trasversale, che realizzò riforme difficili e impopolari ma necessarie in quel difficile passaggio storico. Nel 2013, per la prima volta, un Presidente della Repubblica uscente fu rieletto: Giorgio Napolitano accettò la rielezione, ma non per l’intero settenato e nella prospettiva di profonde riforme politico-istituzionali. Si sarebbe poi dimesso il 4 gennaio 2015.