Roma e Mosca sorelle nell’ecumenismo. Dello storico incontro di cinque anni fa tra papa Francesco e il patriarca Kirill, padre Antonio Spadaro ricorda: “Il sorriso, l’abbraccio, il bacio, sono stati reali. C’è stato un clima di grande simpatia“. E aggiunge il direttore di Civiltà Cattolica: “Nella mia immaginazione mi aspettavo delle rigidità che invece non ho visto”. E’ il riconoscersi fratelli il fondamento dei 33 punti del documento comune. Il primo firmato da un pontefice e da un patriarca di Mosca. Una confluenza di percorsi di unità. Mediazioni tra le ragioni. Le sofferenze inflitte e subite degli uni e degli altri. Le differenze di teologia e di pastorale tra le due grandi Chiese. Le convergenze sulla intricata questione ucraina. Un “idem sentire” che è al contempo religioso, culturale e politico. Il dialogo tra Roma e Mosca aiuta entrambe a dialogare con il mondo. E a fare insieme qualcosa di buono e necessario per la pace mondiale. Senza la fraternità è impossibile parlare della complessità storica, evidenzia Secondo il gesuita ucraino-canadese David Nazar. Secondo cui sarebbe un errore pensare che l’ecumenismo comincia con i leader. Ignorando le esperienze fraterne tra cattolici e ortodossi. Anche in Ucraina. L’abbraccio come slancio di riavvicinamento, dunque. Come lo storico incontro di Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora nel ’64. Quando i capi delle due Chiese cristiane assunsero in prima persona il dovere di riavviare una situazione bloccata da secoli. Si abbracciarono. Si riconobbero come cristiani. Per poi giungere alla cancellazione delle reciproche scomuniche. L’ecumenismo non comincia con i leader. Ma i leader possono moltissimo se si alleano in un progetto comune. Questo hanno pensato Francesco e Kirill. Un punto intermedio. Non di partenza né di arrivo, evidenzia padre Spadaro, analizzando l’accelerazione dell’ecumenismo impressa dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio.L’incontro a Cuba tra il Papa e il patriarca di Mosca ha segnato, quindi, un passo storico nell’ecumenismo. Le radici risalgono lontano nel tempo. Bisogna in modo particolare risalire al Concilio. Il Vaticano II è stato, anche nel campo ecumenico, un momento forte. Ha chiuso con un passato fatto di accuse. Incomprensioni. Condanne. E ha aperto al dialogo. Alla riscoperta delle tante cose belle della tradizione. E della fede comune. Particolarmente della fraternità. Così il Concilio ha superato un periodo fatto di accuse di peccato. Di eresia. E di scisma. Voltando pagina rispetto alle divisioni e lacerazioni nel tessuto della Chiesa. Avvenute “talora per colpa di uomini di entrambe le parti” (UR, 3). E di ciò non possono certamente essere accusati i cristiani dei secoli successivi. E’ la ferita della divisione che la storia ha lasciato. E non può far cadere nell’oblio il ricco patrimonio spirituale comune. Della fede e del culto. Pur nella divisione, infatti, c’è un solidissimo fondamento comune. Una comunione, anche se imperfetta, fondata sul battesimo e sul patrimonio di fede. Una condivisione che permette di riconoscersi fratelli. Una comunione destinata a crescere fino alla pienezza.
La dinamica conciliare di questo mutamento è stata positiva. Ha portato a rispettarsi, ad apprezzare le cose belle comuni. Che sono molte e grandi. A ridimensionare i contrasti. A collaborare con il servizio. Al riconoscimento delle ricchezze comuni della fede. A trattarsi da fratelli nella carità. E dove c’è l’amore c’è Dio. E dove c’è Dio, è attivo un principio interiore. Quello che muove lo spirito a scoprirsi fratelli nello Spirito. E ad operare secondo il progetto di Dio che porta all’unità piena.
Ma questa opera è dello Spirito. Gli uomini sono chiamati ad operare attraverso l’amore. Papa Francesco segue le orme del Vaticano II. La comunione si realizza nel cammino fatto insieme. La fraternità cresce camminando insieme. Il cammino fatto insieme spiana la via e allarga il cuore. La fraternità cresce allargando il cuore. Così avviene l’incontro. E si approfondisce con la condivisione. All’origine dell’abbraccio di Cuba e dell’avvicinamento tra Mosca e Roma c’è il Concilio Ecumenico Vaticano II. Ci sono gli oltre cinquant’anni di documenti. A partire dal decreto conciliare “Unitatis Redintegratio”. Certo, nel periodo post-conciliare il cammino ecumenico è stato molto lento. Addirittura ha avuto dei momenti di arresto. Se non di arretramento. Sono stati numerosi gli incontri sulla verifica dei punti comuni di fede e di quelli di contrasto. Però non avevano portato molto lontano. Il dialogo ecumenico andava avanti all’insegna del confronto dottrinale. E presupponeva implicitamente che il mutuo riconoscimento e la collaborazione dovessero partire dall’unità raggiunte. Ma è la riscoperta dell’amore fraterno che porta ad operare sotto la guida di Dio. E sotto l’azione dello Spirito Santo.
Perché l’unità dei cristiani passa da Mosca
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