Morte tra le Alpi. Non è il titolo di un film thriller ambientato nell’Europa centrale ma la conseguenza delle nuove legislazioni mortifere. La Svizzera resta infatti la destinazione preferita da tante persone disperate che vogliono recarsi nelle cliniche dove viene praticato il suicidio assistito e dal 2022 anche l’Austria potrebbe diventare un ulteriore punto di approdo per chi vuole mettere fine alla propria vita.
Il Governo di Vienna nei giorni scorsi ha trovato un accordo per la legalizzazione del suicidio assistito, dopo le indicazioni arrivate dalla Corte Costituzionale austriaca che lo scorso dicembre aveva dichiarato incostituzionale la punibilità dell’aiuto al suicidio, perché in contrasto con il diritto di autodeterminazione. Ora il parlamento ha tempo fino al prossimo primo gennaio per delineare la una cornice normativa, se ciò non dovesse avvenire il suicidio assistito diventerà legale anche senza una legge.
In pratica si vuole garantire la protezione penale a chi aiuta una persona a suicidarsi. Come si conviene in tempi di pensiero relativista, la misura viene ammantata di una luce di pietismo e umanità, si parla di “morte con dignità”, “autodeterminazione”, “fine delle sofferenze” e di possibilità data a persone che soffrono di malattie gravi, le cui conseguenze “compromettono permanentemente il modo di vivere”. Termini molto vaghi che lasciano maglie larghissime in cui possono entrare anche persone con disturbi psichiatrici, malati stabilizzati da anni e non terminali, persone non autosufficienti ma non in pericolo di vita. Un piano inclinato che abbiamo visto dove porta in tutti quei Paesi in cui è stato imboccato. In Olanda, Belgio, Canada e in molti Stati Usa, la legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia ha provocato un aumento vertiginoso dei cittadini che ogni anno chiedono la “dolce morte di Stato” (Circa 6000 l’anno nei Paesi Bassi). Si tratta di un inevitabile processo culturale, lo Stato che offre la morte manda un messaggio devastate sul valore della vita che ha conseguenze anche sull’organizzazione del sistema sanitario e dell’assistenza per le persone più fragili, in primis anziani e disabili.
In questi mesi i vescovi austriaci hanno duramente criticato la sentenza della Corte con diverse lettere e comunicati ufficiali in cui si è ribadita l’impossibilità di tacere e richiamando i cattolici ad una reazione attiva.
La Chiesa gestisce molte istituzioni educative, ospedali e case per anziani. Sono proprio questi luoghi che “debbono accettare la sfida di difendere una morte dignitosa”, ha affermato mons. Lackner, arcivescovo di Salisburgo e presidente delle Conferenza episcopale austriaca, in una lettera pastorale. “E’ importante preservare la dignità dell’essere umano al suo fine e lottare per una nuova cultura della vita”. Al dramma morale e umano si somma il concreto rischio che le strutture sanitarie cattoliche vengano costrette a dare la morte a chiunque la richieda. In questo quadro, assume ancora più valore il recente richiamo di Papa Francesco al rispetto del diritto all’obiezione di coscienza per medici e personale sanitario.
La cattolica Austria va aggiungersi a una lunga lista di Paesi occidentali e in particolare europei che hanno aperto le loro legislazioni al cosiddetto “diritto” al suicidio. La Svizzera è stata la prima ad aprire questa strada nel 1942 e negli ultimi 20 anni è stata seguita da Olanda, Belgio, Lussemburgo, Canada, Australia e circa dieci Stati Usa. Poi negli ultimi due anni è stata la volta di Germania, Spagna e Nuova Zelanda. E’ come se nelle Nazioni più ricche e avanzate della Terra si sperimentino disperazione e solitudine tali da non poter dare altra risposta che una morte senza dolore.
L’Italia non è esente a questa offensiva culturale, due sono le iniziative che mirano ad introdurre l’eutanasia attiva, ovvero il referendum proposto dai radicali e il ddl alla Camera sostenuto da diverse forze politiche. Mai come oggi c’è la necessità che tutti i politici che si professano a favore della vita in campagna elettorale dimostrino il loro impegno nelle aule parlamentari. Prima di tutto è fondamentale trovare i fondi per finanziare la legge sulle cure palliative, mai veramente applicata.