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Minaccia alla salute globale: ecco perché il Covid non è una “semplice influenza”

La pandemia di COVID-19 rappresenta una minaccia alla salute globale con un impatto senza precedenti negli ultimi 100 anni. Bisogna infatti risalire alla pandemia di influenza “spagnola” del 1918-1919, che provocò fra 50 e 100 milioni di morti, per trovare un evento epidemico infettivo di gravità paragonabile in termini di morbosità e di letalità. Tuttavia, i due eventi sono difficilmente raffrontabili perché lo scenario sociale, economico e sanitario è da allora profondamente mutato.

La COVID-19 (coronavirus disease – year 2019) si è manifestata nella provincia cinese di Hubei, con epicentro nella città di Wuhan, negli ultimi mesi del 2019. Il 31 dicembre 2019 la Cina ne ha notificato ufficialmente la presenza all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS; WHO). È stato identificato come agente causale un nuovo Coronavirus strutturalmente correlato al virus che causa la sindrome respiratoria acuta grave (severe acute respiratory syndrome, SARS) e pertanto denominato SARS-CoV-2.  I Coronavirus, considerati a lungo alla stregua di banali virus respiratori stagionali (virus “del raffreddore”), in realtà negli ultimi 18 anni sono stati responsabili di patologie gravate da elevata mortalità: la SARS appunto (nel 2002), epidemia apparentemente risoltasi nel 2003, e la sindromerespiratoria mediorientale (Middle East respiratory syndrome, MERS), manifestatasi nel 2012 e tuttora presente con casi sporadici.

L’apparente scomparsa in due anni della SARS e la limitata diffusione geografica della MERS hanno fatto sì che inizialmente l’epidemia da COVID-19 sia stata sostanzialmente sottovalutata, ritenuta limitata alla Cina e ad alcuni Paesi asiatici prossimi (Corea, Taiwan, Giappone, Thailandia, Vietnam e Singapore) e prontamente estinta da appropriate misure di confinamento (lockdown), isolamento e quarantena adottate in quei Paesi, con strategie differenti ma tutte efficaci, almeno nel fronteggiare la “prima ondata”.

Suddivisi in 4 generi (Alfa, Beta, Delta e Gamma), i Coronavirus umani includono 4 specie (HCoV 229E, NL63, OC43 e HKU1) infettive per l’uomo, endemiche globalmente e responsabili fra il 10 e il 30% delle infezioni virali respiratorie dell’uomo. Queste specie sono correlate a una grande varietà di specie presenti nei pipistrelli, il che suggerisce che il pipistrello rappresenti il principale serbatoio naturale di questi virus. Si ritiene altresì che mammiferi domestici possano fungere da ospiti intermedi in cui, a seguito di ricombinazioni e mutazioni, si generano varianti genetiche che possono essere responsabili del “salto di specie” all’uomo.

L’avvento della SARS nel 2002, manifestatasi con casi di polmonite atipica grave nella provincia cinese di Guangdong, ha suscitato a suo tempo grande allarme per la rapida diffusione a una ventina di Paesi tramite i viaggi internazionali. È stata per la SARS ipotizzata una trasmissione zoonotica, a partire dai pipistrelli, con l’intervento di un ospite intermedio (il furetto, lo zibetto). È stato identificato come agente causale un beta-coronavirus, denominato SARS-CoV. La glicopeptina di superficie spike rappresenta l’elemento patogenetico responsabile dell’attacco ai recettori della cellula ospite, identificati in ACE2 (angio- tensin converting enzyme 2).

La presentazione clinica acuta (febbre, tos-se, dispnea e, occasionalmente, diarrea profusa), la necessità del ricorso alla ventilazione meccanica nel 30-40% dei casi, la letalità (intorno al 10%) e i fattori di rischio (età avanzata, comorbosità) sono stati ampiamente descritti nella letteratura medica, così come è stata documentata la trasmissione respiratoria interumana, soprattutto nosocomiale, e lo shedding virale tardivo, dopo circa7 giorni, riferibile alla localizzazione di ACE2 nel tratto inferiore dell’albero bronchiale. La trasmissione del virus causale di SARS-CoV è primariamente aerogena (droplets e/o aerosol) ma altre vie sono certamente in causa (le mani, i fomiti ecc.). Varie modalità di contagio sono state descritte, dal contatto diretto con animali infetti al ruolo di “superdiffusori”. Ma soprattutto è stato affermato il concetto della trasmissione zoonotica, per cui virus animali possano compiere un “salto di specie” e infettare l’uomo.

Di fatto, prima che l’epidemia potesse essere bloccata, 8.098 soggetti sono stati contagiati e 774 sono deceduti, pertanto con un indice di letalità del 9,6%. Il costo economico globale è stato valutato fra 30 e 100 miliardi di dollari. Nel 2012 un altro betacoronavirus altamente patogeno è salito alla ribalta, identificato nell’escreato di un soggetto saudita deceduto per insufficienza respiratoria. Denominato MERS-CoV, questo virus ha provocato un’epidemia che ha avuto un comportamento epidemiologico differente da quello sostenuto da SARS-CoV perché è rimasta limitata a un’area ristretta, il Medio Oriente, dove continua a manifestarsi con casi sporadici di trasmissione interumana di origine zoonotica, responsabile di limitati casi di contagio comunitario e di esplosivi focolai epidemici nosocomiali, sovente sostenuti dalla presenza di “super- diffusori”. Il serbatoio naturale, ancora una volta, è stato ipotizzato nei pipistrelli e l’ospite intermedio della trasmissione all’uomo attribuito a un camelide, precisamente al dromedario. Il carico globale di casi è stato di 2.494 al novembre del 2019 e ha comportato la necessità di ricorso alla ventilazione meccanica nel 50- 90% dei casi. Sono stati registrati 858 morti e pertanto un indice di letalità del 36%, interessante nell’80% pazienti di età over 65 anni. Anche sotto il profilo clinico MERS differisce da SARS poiché, accanto a gravi casi di polmonite atipica, causa prevalentemente una grave sindrome gastrointestinale e insufficienza renale acuta, legandosi a recettori dipeptidil peptidasi 4 (DPP4) presenti nelle basse vie respiratorie ma anche nel tratto intestinale e nel rene. Benché non abbia internazionalmente suscitato allarme per il limitato impatto sui sistemi assistenziali, MERS-CoV nel 2017 è stato posto da WHO nella lista prioritaria dei virus patogeni insieme a SARS-CoV. L’importanza di focalizzare l’attenzione su questa lista di allarme è stata confermata dalla segnalazione, da parte delle autorità sanitarie cinesi, di un focolaio di polmonite atipica grave nella città di Wuhan, segnalando così l’emergenza di un terzo virus patogenozoonotico della famiglia Coronavirus, di cui già il 10 gennaio 2020 è stato sequenziato l’intero genoma. L’omologia con SARS-CoV e l’affinità per i recettori ACE2 hanno consentito la denominazione di SARS-CoV-2 e la previsione di una potenziale diffusione epidemica, già inizialmente sostenuta dalla dimostrazione di una trasmissione interumana nel personale di assistenza dell’Ospedale di Wuhan con la morte del medico, il dott. LiWenliang, che per primo segnalò la nuova malattia com’era avvenuto per il SARS-CoV (che era costato la vita a un medico infettivologo italiano, Carlo Urbani, in Vietnam). L’indice di letalità nella casistica cinese è inferiore rispetto alla SARS, dell’ordine del 4,2%, ma l’allarme internazionale è stato da subito molto più elevato per la dimostrazione di una rapida diffusione globale, con un numero crescente di casi rilevati in Medio Oriente (prevalentemente in Iran) e, presto, in Europa, tanto che l’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato lo stato di pandemia, essendo stati registrati casi in tutti i continenti: in vari Paesi dell’Asia e poi dell’America del Nord e del Sud, in Africa e in Australia.

Prof. Giampiero Carosi: