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Migranti, le tragedie che si perdono nell’indifferenza

È trascorso oltre un anno dalla tragedia di Cutro, ma sembra che, in materia di politiche migratorie, non sia cambiato molto. Le persone continuano a morire nel Mar Mediterraneo e sulle altre rotte della speranza per raggiungere l’Europa, come ad esempio quella balcanica. Il nostro Paese, nei giorni scorsi, ha portato a compimento la firma per due centri nei quali dovrebbero essere allocati i migranti in Albania, attuando una politica di esternalizzazione delle frontiere, con l’aggravante che, quello di cui si sta parlando, non è un Paese appartenente all’Ue. Questa operazione, per noi, non rispetta il diritto europeo. Sembra che sia in atto un inesorabile corsa a respingere invece che ad accogliere. Le tragedie di Lampedusa del 2013, di Cutro e il numero di vite umane che, ogni anno, si perdono nell’indifferenza, sembrano non averci insegnato nulla. I migranti venivano respinti ieri e lo sono ancora oggi. L’Europa e l’Italia, invece di accogliere chi fugge da guerre e disperazione, si inventano l’Albania, mettendo la testa sotto la sabbia. Nonostante ci siano costanti richiami all’accoglienza da parte di Papa Francesco e delle organizzazioni umanitarie, ad oggi, non è cambiato nulla ma anzi, sembra che le politiche migratorie si siano inasprite.

Auspico che, dal punto di vista culturale, maturino delle riflessioni nuove su questo tema. Vorrei che, l’Europa, che ha posto al centro della propria fondazione sul diritto umanitario e i diritti civili, si rendesse conto che, con un numero così importante di persone, le quali provano a raggiungere il continente, ora sta voltando le spalle a chi sta tentando di salvare la propria vita. Mettere in dubbio il diritto umanitario descrive la pagina della storia che stiamo vivendo. Vorrei che, l’attuale quadro normativo, cambiasse e vi fosse una maggiore apertura all’accoglienza. In Italia vivono cinque milioni di cittadini di origine straniera e oltre un milione di bambini che sono nati in Italia e sono cittadini di fatto ma non di diritto. Sono in attesa da 34 anni di una legge che modifichi le procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana che, attualmente, è ancora fermo allo ius sanguinis. Perfino nell’Antica Roma, da stranieri, si poteva diventare cittadini romani. Sarebbe quindi sufficiente ricordare che, qualche secolo fa, qualcuno si era già posto il problema di riconoscere uno status a chi vive, cresce e contribuisce a migliorare e sente come suo un determinato Paese. Oggi invece, siamo di fronte ad un dibattito che, su questo tema, si è lentamente spento. Il Parlamento italiano, allo stato attuale, non si è nemmeno posto il problema di recuperare un sentire popolare diffuso. Gli italiani sono più pronti del Parlamento a riconoscere i diritti di cittadinanza a bambini e ragazzi. Mi piacerebbe che, l’Italia, si sentisse non solo un Paese di emigrazione, ma più compiutamente di immigrazione.

Di queste leggi e riforme ne ha bisogno il Paese intero. Siamo già fuori tempo massimo e auspico che, nel corso della prima edizione del festival di Sabir delle culture mediterranee, la quale avrà luogo a Prato ad aprile, si possa porre il tema della cittadinanza e della riforma della legge Bossi – Fini. È inaccettabile che, in un Paese in cui, vivono cittadini stranieri che, con il loro lavoro, contribuiscono all’economia e danno forza al sistema di welfare, ci sia una legge legata alla politica dei flussi, che non consente la scelta libera di un lavoratore straniero, il quale, spesso, vive in un cono d’ombra. L’emersione del lavoro nero consentirebbe alle casse dello Stato di prendere fiato, ma soprattutto darebbe la possibilità a molti migranti di avere una vita migliore. Occorre una politica migratoria diversa, che metta al centro la tutela persone, sia da parte dell’Europa che dell’Italia.

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