La situazione è più che drammatica. I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono in gran parte divorati da conflitti: dalla Siria fino all’Algeria. In Africa alla ormai secolare carestia si aggiungono scontri etnici e derive fondamentaliste che provocano migliaia di vittime. Come se non bastassero regimi, come quelli del Corno d’Africa, che sono campioni di repressione. Quindi è giusto quanto dichiarato dal premier Renzi: “Il problema è la Libia e lì va risolto”. Ma come? Aspettando l’Onu?. In Darfur ancora lo attendono e sappiamo cosa è accaduto e continua a succedere. Lo stesso in Ruanda. Del resto le Nazioni Unite sono state interessate del problema molti mesi fa. Il segretario generale Ban Ki-moon ha anche ringraziato l’Italia per quanto fatto con Mare Nostrum. E poi nulla. Tanto coloro che muoiono sono neri, disperati e senza potere. Il nostro Paese vuole intervenire ma si trincera dietro non si sa quale bandiera internazionale.
Dell’Onu abbiamo già detto. L’Europa pensa ad altro. Sembra più importante salvaguardare il gas, proveniente dalla Russia, per le cucine delle massaie di Berlino che quello, libico, il quale fornisce energia alle case italiane. Nella crisi Ucraina Merkel e Hollande sono intervenuti, per ora con successo, senza pensarci troppo. In Libia, a suo tempo Sarkozy fece lo stesso: mandò i suoi Mirage a bombardare senza aspettare la decisione degli altri partner. Ma certo, all’epoca Parigi voleva soffiare i giacimenti di Tripoli all’Eni. Da quasi un anno la Libia è fuori controllo. A Derna è persino stato fondato un Califfato alleato dell’Isis. Prima di questo, tra la strage di due anni fa e oggi, abbiamo fatto solo polemiche. Qualcuno sui disperati dei barconi sta costruendo la sua fortuna politica. Eppure l’Italia quasi venti fa ormai, nel 1997, quando l’Albania esplose per il crac delle Piramidi finanziarie e un vero e proprio esodo di albanesi attraversò l’Adriatico, non ebbe indugi e mandò una forza militare a occupare l’isola di Saseno davanti a Valona per impedire le partenze. Poi spedì una missione di Polizia, carabinieri e Guardia di Finanza per organizzare le forze di sicurezza locali e infine inviò l’Esercito italiano per stabilizzare il Paese. A Tripoli, sino allo scorso settembre, erano presenti istruttori militari e di polizia. Noi facciamo i maestrini ma poi quando c’è da mostrare i muscoli ci facciamo gestire. Così è accaduto in Iraq e in Afghanistan dove, noi, abbiamo fatto un ottimo lavoro, ma di quello fatto da altri se ne vedono le conseguenze.
Ancora un mese di parole sui migranti affogati. Poi tornerà il silenzio con Frontex che preferisce spendere soldi per la sede, in Polonia, e destina solo la metà degli 89 milioni di budget al pattugliamento delle frontiere marittime. Ma attenzione, non è solo il Mediterraneo. I fondi finiscono anche per finanziare missioni nell’Atlantico e persino per i porti della Germania. E sulle coste libiche, armi in pugno i negrerieri del XXI secolo continuano ad arricchirsi sulla pelle degli ultimi. Basterebbe un drone che visualizzi le coste interessate dagli imbarchi e una task force per ridurre il problema. Ma il gas libico non rifornisce Berlino e, quindi, chi muore nei nostri mari, per troppi, resta solo un poveraccio.