Mentre avanza l’offensiva di terra israeliana, diventa sempre più reale il rischio di un allargamento regionale, se non mondiale, del conflitto. Odio chiama odio come dimostrano gli episodi di antisemitismo che si segnalano in tutta Europa e perfino nelle università degli Stati Uniti finanziate, paradossalmente, da magnati progressisti ebrei.
La guerra israelo-palestinese ha acuito le spaccature nella comunità internazionale, che si era già divisa dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Da una parte il blocco occidentale schierato compatto dalla parte di Kiev e dall’altra molti Paesi emergenti capitanti dal Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) che sostengono Mosca. Gli interessi delle popolazioni convolte nei combattimenti e nei bombardamenti indiscriminati ovviamente passano in secondo piano, la divisione manichea tra buoni e cattivi operata dalle parti lascia poco scampo alla diplomazia e all’aspetto umanitario della crisi.
Il Medio Oriente e l’Ucraina sono diventati quindi la parte più allarmante e divisiva di quel mosaico della “terza guerra mondiale a pezzi” che da tempo Papa Francesco denuncia per lanciare un monito ai leader occidentali. Le società arabo-musulmane, dopo i conflitti tra sunniti e sciiti, sembrano ricompattarsi sulla causa palestinese, anche la Turchia – con un piede in occidente e storico membro della Nato – è stata durissima contro Israele. Erdogan in persona è intervenuto alla manifestazione pro Palestina ad Istanbul con un milione e mezzo di partecipanti e Israele ha richiamato i suoi diplomatici dalla Turchia e desidera “rivalutare le relazioni”.
La guerra sul terreno e sul fronte diplomatico si è trasferita anche nelle piazze e nel cuore delle nostre società occidentali con una contrapposizione diventata muscolare nella parte più ideologizzata delle opinioni pubbliche. Il diritto di Israele di difendersi e annientare la minaccia di Hamas in alcuni casi assume in una deriva che vede l’identificazione di ogni palestinese o persino di ogni arabo di in un terrorista. Allo stesso tempo ci sono minoranze organizzate che demonizzano Israele, ne auspicano pubblicamente la sua distruzione, senza riconoscere che lo Stato ebraico resta pur sempre l’unica democrazia dell’area, dove vivono quasi due milioni di arabi con pieni diritti civili.
Nell’ottica della cornice appena descritta, Joschka Fischer, ex ministro degli esteri della Germania, in un’intervista pubblicata ieri dal Corriere, parla di un clima simile a quello del 1914, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Secondo il politico tedesco Israele non ha scelta per ripristinare la sua sicurezza ma sta segnando un solco di odio ancora più profondo. Anche secondo Fischer sulle crisi di Ucraina e Gaza prede forma un nuovo ordine mondiale che vede due schieramenti.
Bisogna quindi disinnescare questa spirale d’odio. Il sacrosanto diritto di Israele di vivere, prosperare in sicurezza e difendere e controllare i propri confini va garantito di pari passo con il rafforzamento di un Autorità Nazionale Palestinese in grado governare su tutti i territori che gli sono riconosciuti. A tutto questo ora si aggiunge il nodo del futuro di Gaza, L’Anp dovrà riprendere il contro della Striscia. La proposta che sta prendendo corpo è che l’Onu e le agenzie internazionali possano sostenere i palestinesi nella gestione di questo territorio martoriato per un periodo transitorio.