Dopo la sentenza della Consulta 242/19 che, di fatto, apre le porte a pratiche di aiuto al suicidio, diventa sempre più impellente affrontare il tema di come rispondere al grido di aiuto che ci proviene da persone in condizioni di sofferenza fisica, psicologica e spirituale. Sono profondamente convinto che la risposta degna di una società veramente civile non può essere eliminare la sofferenza, eliminando il sofferente, come vorrebbe il disegno di legge Bazoli/Provenza sulla “morte volontaria medicalmente assistita”, già approvato alla Camera dei Deputati e bloccato dalla caduta del Governo.
Esiste, dunque, una risposta chiara ed efficace al dolore e alla sofferenza? La risposta – anche in termini strettamente scientifici – non può che essere positiva: oggi abbiamo in mano tutti gli strumenti necessari per far fronte a quell’opera di lenimento del dolore che ci interpella tutti, sul piano umano e sociale. La “terza via” – come la definì Cicely Saunders, fondatrice della medicina palliativa – fra derive inaccettabili di accanimento terapeutico e di eutanasia/aiuto al suicidio, si chiama “Cure Palliative”. La legge 38/2010 – tanto bella quanto inapplicata – definisce le CP “insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura, attiva e totale, dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. Gli fa eco l’OMS, affermando che le cure palliative rappresentano un “approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili … attraverso un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale”.
Lo statuto ontologico, se così si può dire, delle CP sta nell’affermare la vita e considerare la morte come un evento naturale, ineliminabile, che richiede condivisione, accompagnamento e vivissimo senso di solidarietà … per chiunque. La medicina palliativa non ha lo scopo né di accelerare né di ritardare la morte naturale, ma vuole che non si abbandoni mai un malato, neppure se – in un umanissimo e comprensibile stato di sofferenza e disperazione – fosse egli stesso a chiedere di “farla finita”. E la pratica medica, ormai consolidata da decenni di esperienza sul campo, ci dice che la richiesta eutanasica fra chi entra nel percorso delle cure palliative (domiciliari o in regime di spedalizzazione) è assolutamente insignificante, dell’ordine del 4/1000! E, il più delle volte, non è il paziente a chiederlo, ma i suoi parenti! Il che deve ben dirci qualcosa sul piano sociale: si sta diffondendo, purtroppo, la mentalità della “cultura dello scarto” che il nostro Papa Francesco non perde occasione di condannare chiaramente.
Dunque, le cure palliative sono la risposta efficace alla sofferenza. Ma rimane il vero problema: la legge 38/2010 non è adeguatamente sostenuta e finanziata, in palese contraddizione con quanto scritto e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.65, 19 marzo 2010, “Non più soli nel dolore. Cure Palliative, un riparo sicuro di calore umano e scienza medica”! Le risultanze statistiche disegnano un quadro davvero desolante, ma forse sarebbe più onesto dire “vergognoso”, se si considera che il Parlamento, invece di essere impegnato a legiferare in favore della vita, si trova occupato a definire le regole che legittimano la “morte di Stato”: nel nostro Paese il “tasso di copertura” fra domanda e offerta di CP, calcolato sulla base dei dati ufficiali ISTAT 2017, è del 16 – 19%, il che significa alta domanda/necessità di CP e basso tasso di copertura. Sempre nel 2017 si è calcolato – sulla base dei decessi valutati per patologia – i malati che potevano aver bisogno di CP è stato del 69 – 84%, cioè circa 500 mila persone.
Senza dimenticare l’estrema urgenza rappresentata dall’insufficienza di Hospice: sul nostro territorio sono operativi 240 hospice, per un totale di 2777 posti letto, mentre ne sarebbero necessari il doppio. Inoltre, la sperequazione territoriale è drammatica: in Lombardia 69 hospice, in Puglia 10, in Campania 8 … Chiunque di noi sente nel cuore il desiderio di rispondere con umana efficacia alla sofferenza di persone, nostri fratelli, duramente provati dalla malattia: va dichiarato con coraggio ed insistenza che la soluzione non è e non può essere la morte, neppure se richiesta, perché l’alternativa c’è sul piano medico, umano, sociale e spirituale e una comunità che davvero si prende cura dei suoi, deve rifuggire da scelte di morte, tanto ideologiche e di moda, quanto indegne dell’umanità e della civiltà che è inscritta nel nostro popolo.