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Medici e infermieri, eroi quotidiani dimenticati

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Ore dodici flash mob, un tributo, un momento di solidarietà e condivisione da parte di tutti gli italiani a tutti medici che in questo momento stanno facendo un lavoro straordinario per la salute del nostro Paese.

Da più parti in questi giorni infatti giungono ringraziamenti a medici ed infermieri per la loro abnegazione, professionalità coraggio fino a sacrificare la propria vita, per arrivare perfino a donazioni da parte di privati cittadini per gli ospedali o da semplici gesti di solidarietà, vicinanza e condivisione come lasciare davanti ai cancelli cibi bevande e caffè, notoriamente gradito, da chi fa questa professione, per combattere la stanchezza.

E allora ci si chiede dove erano queste “vicinanze” prima che si accendessero questi riflettori e dove saranno domani quando, ci auguriamo al più presto, calerà il sipario?

Dove sono quegli esperti che hanno ridotto migliaia di posti letto, perchè non previsti dal SSn (sistema sanitario nazionale), in nome di una centralizzazione della quale oggi assistiamo ai risultati e ne misuriamo i benefici?

Dove sono oggi i giovani medici costretti ad anni di precariato, con assunzioni bloccate e concorsi mai espletati e che per tale motivo non hanno potuto sostituire i colleghi andati a riposo? E quel rispetto che ci è stato negato nell’ultimo trentennio e che in questo frangente ci è stato restituito resterà anche quando le luci saranno spente?

Eppure, siamo quelli di ieri, aggrediti nei pronto soccorso, stuprate nelle guardie mediche, feriti al rientro in abitazioni per presunte diagnosi e terapie errate, costretti a difenderci da denunce quotidiane incentivate da spot radiotelevisivi.

Siamo quelli di ieri, costretti a turni di lavoro massacranti, obbligati dopo una notte di guardia ad andare in sala operatoria perchè il collega nel frattempo si è ammalato, spesso costretti ad affrontare parenti minacciosi in totale solitudine.

Siamo quelli di ieri, che hanno giurato fedeltà con Ippocrate ma non soltanto per pronunciare parole fatue, ma per dare la vita agli altri ed arrivare anche a donare la nostra come dimostrano gli ultimi tristi eventi. Siamo quelli di ieri, che hanno interpretato la medicina come arte e missione, dove il malato è considerato “persona” prima che “malattia” da curare. Siamo quelli di ieri figli della scuole dei grandi maestri del passato dove certe parole come DRG erano sconosciute ed efficienza ed efficacia erano termini incompatibili con la professione medica; dove ancora non si sapeva cosa fossero le liste d’attesa, dove il rapporto tra medico e paziente era un rapporto fondato sull’amicizia e dove non esisteva la robotica o l’I.A. (intelligenza artificiale), ma  dalla lettura  di una semplice lastra o da un’attenta anamnesi ed una visita accurata a letto del malato si poteva fare diagnosi.

Erano i tempi dove la parola Etica aveva un valore, dove i pazienti e non clienti spesso venivano tenuti un giorno in più piuttosto che uno in meno, dove l’umanizzazione della Medicina rendeva il budget una parola sconosciuta.

Oggi ci troviamo in trincea per salvare i nostri ammalati, così come lo eravamo ieri e lo saremo domani, ed allora l’augurio che poi è un speranza, è che dopo che saremo riusciti vittoriosi da questa guerra, perchè la vinceremo, potremo aprire un capitolo nuovo nella storia della medicina del nostro paese dove possa ritornare un rapporto medico-paziente autentico e dove le Istituzioni possano permettere alla Sanità di funzionare al meglio con i malati primi attori e i medici umili protagonisti messi nelle condizioni di operare al meglio per la comunità.

Stefano Ojetti: