L’esame di Stato al termine del secondo ciclo dell’Istruzione è, nella nostra tradizione scolastica, un rito di passaggio, ha una sua liturgia tradizionale fatta di notte prima degli esami, di interviste trasudanti emozione al tg, di abbracci e pacche sulle spalle, di racconti dei genitori che rievocano la loro ormai lontana esperienza.
In questo straniante 2020 però il virus ha cambiato ogni prospettiva sull’Esame di Stato, ha mutato le attese. Probabilmente causerà anche profonde delusioni a coloro che invece avevano costruito una preparazione forte ed ambiziosa, per affrontare al meglio la prova e che ora immaginano e temono che il loro costante impegno non otterrà il giusto riconoscimento.
Il senso dell’esame è anche in questo, nell’attesa della prova, di un cimento, di uno scoglio da superare che riguarda l’intero gruppo dei maturandi. Una prova pertanto non solo individuale ma collettiva, che è anche condivisione delle difficoltà, confronto, richiamo al senso di giustizia e per alcuni persino ad una sorta di redde rationem, un pezzo indelebile della storia personale.
Quello che stiamo evocando è certamente solo un aspetto marginale nella drammaticità della situazione epidemiologica, ma per molti studenti aggiunge un ulteriore tassello di disorientamento e spaesamento, di distinzione tra il prima e il dopo la diffusione del contagio.
La necessità prioritaria di garantire la salute degli alunni e del personale, ha costretto il Governo a preoccuparsi di questi aspetti, disegnando due distinti scenari. Il punto di non ritorno, il Rubicone, è stato fissato al 18 maggio.
Tuttavia, il fatto che vi siano due scenari strettamente dipendenti dall’evoluzione epidemiologica e che regni l’incertezza, mentre l’esame è già all’orizzonte e si avvicina a grandi passi, non aiuta. Il Ministero ha emanato alla fine della scorsa settimana indicazioni relativamente alla composizione delle Commissioni dell’Esame di Stato ed è stato l’unico segnale sin qui pervenuto. Non vi sono invece notizie su molte altre rilevanti questioni, considerando che il decreto-legge 22/2020 ha disegnato la possibilità di un vero e proprio stravolgimento della struttura dell’Esame.
Sappiamo ormai con certezza che le Commissioni, come era stato ampiamente anticipato, saranno costituite da sei membri interni e da un presidente esterno. I Commissari saranno designati dal Consiglio di classe, secondo le modalità indicate dal Ministero, mentre il Presidente, come d’uso, sarà assegnato dall’USR di riferimento. Sappiamo anche che per l’ammissione all’esame si derogherà per i candidati dalla frequenza per almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato e dalla partecipazione alle prove Invalsi, che non si sono proprio svolte. Si derogherà per i candidai interni anche dalla votazione non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline e dal conseguimento di un voto di comportamento non inferiore a sei decimi.
Appare evidente che la responsabilità della singola istituzione scolastica diviene estremamente rilevante, considerando che non vi saranno membri esterni in sede di esame né probabilmente prove formulate a livello nazionale. Nel caso di rientro entro il 18 maggio, è prevista la sostituzione della seconda prova a carattere nazionale con una prova predisposta dalla singola commissione d’esame, ma è molto accreditata la possibilità che le prove scritte siano del tutto eliminate. Questo è infatti lo scenario nel caso, sempre più probabile, di un rientro a scuola dopo il 18 maggio.
Se non si tornerà a scuola per quella data, le prove scritte saranno sostituite da un unico colloquio. Non è chiaro, tra l’altro, se il colloquio potrà essere in presenza, come noi speriamo, e come abbiamo formalmente proposto nel corso dell’audizione presso la 7a Commissione del Senato, suggerendo uno specifico emendamento in tal senso al testo di legge di conversione del dl 22/2020. È comunque evidente che sono necessarie indicazioni davvero precise per lo svolgimento dell’esame e perché mantenga, per quanto possibile, la rilevanza e le caratteristiche di una prova “seria”. Non ci sarebbe nulla di peggio di una prova che gli alunni possano percepire come puramente formale. In tal caso sarebbe meglio piuttosto eliminare l’esame.
Il colloquio dovrà necessariamente offrire elementi di valutazione altrimenti garantiti dalla complessità delle prove e pertanto la strutturazione sarà prevedibilmente complessa e articolata. Per ora sappiamo dal decreto-legge che saranno parte del colloquio le esperienze maturate nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento e che dovranno essere rimodulate le modalità di attribuzione del voto finale.
Riteniamo che sia urgente la definizione delle modalità di svolgimento dell’esame, sia pure ancora in riferimento ai due scenari già prefigurati, ancorché quello di un rientro a scuola il 18 maggio si stia rivelando a dir poco improbabile. È infatti necessario che gli studenti e i professori siano da subito informati delle modalità d’esame. Ogni ulteriore ritardo non farebbe altro che aumentare il disagio e il disorientamento degli studenti. Non si può certo attendere che il Governo sciolga l’incertezza sulla data del ritorno a scuola per offrire agli studenti indicazioni chiare su come devono orientarsi per affrontare al meglio questa prova che purtroppo rimarrà a molti nella memoria per motivi del tutto differenti da quelli delle precedenti generazioni.