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Mattarella non un vincitore, ma il salvatore della Patria

E anche stavolta non sarà una donna a salire al Quirinale. E anche stavolta i nomi delle donne spese per la corsa presidenziale sono state usate e gettate, in qualche caso con la loro stessa responsabilità (evidente il riferimento al presidente del Senato, Elisabetta Casellati), tanto nei conciliaboli notturni, quanto nei giochi di potere fuori e dentro il palazzo. E che lo si voglia o no, uno degli elementi su cui ci sarà da riflettere a lungo è proprio questo, se vogliamo ridare un senso alla politica, avendolo smarrito del tutto.

La partita che si è andata consumando attorno alla Belloni, uno dei nomi realmente di altro profilo istituzionale, è servita solo a regolare i conti, in qualche caso vere e proprie faide, fra presunti leader e esponenti con un passato da leaderino (anche in questo caso chiaro il riferimento al duello rusticano fra Conte e Di Maio), consegnando alle cronache della storia politica fra le peggiori pagine mai scritte. Del resto se il leit motiv di queste ore è “ci sarà l’occasione per i necessari chiarimenti”, significa che un po’ tutti gli attori del romanzo Quirinale sono consapevoli di aver mandato in scena una pessima recita, e non per un brutto copione, ma per la totale assenza di idee. Di qualunque idea. Anche quando si recita a soggetto, serve un canovaccio, e qui non c’era.

Dunque queste otto votazioni hanno evidenziato la drammatica crisi della politica, forse al suo punto più basso, mascherata con la rielezione di Mattarella, resa ancor più grave dalla totale inconsistenza di alcune coalizioni e dei partiti. A partire dal cartello del centrodestra, letteralmente saltato, esploso su se stesso, con la Meloni già pronta a guardare oltre lo steccato. Da donna leader, forse, ha tenuto il punto, seguendo il proprio schema di gara. Per non dire della difficoltà del Movimento 5 Stelle, sempre più incapace nel dialogare con le regole del gioco. Il dualismo Di Maio-Conte non ha solo prodotto la bocciatura della Belloni, ma ha rischiato di portare il Parlamento dentro una grande crisi di nervi. Certo, non è da meno il braccio di ferro fra Giorgetti e Salvini, con quest’ultimo nella fase più difficile della sua parabola politica, costellata da troppe sconfitte e pochissimi successi, davvero pochi. Ma in questo caso il duello è giocato sul filo della dialettica, della grammatica politica, sul ruolo stesso della Lega se volete, mentre nei 5 Stelle siamo davvero alla rissa senza esclusione di colpi. Roba da guerra fra bande per il controllo del territorio.

Sia chiaro, nel campo del centrosinistra le cose non vanno troppo meglio. Tanto Enrico Letta quanto Matteo Renzi non hanno molto per cui esultare. Il loro tirare a campare, con la costante ricerca del soluzione meno peggiore del peggio possibile, ha solo permesso il gioco di sponda, per finire esattamente al punto di partenza. Nessuna vittoria, nessuna sconfitta. Ma anche il niente non è un pari. E di tutto questo, nei prossimi giorni, vedremo gli effetti collaterali.

Nel frattempo il Paese resta nelle mani di Sergio Mattarella e Mario Draghi. Il capo dello Stato, dopo aver detto no, di fronte al voto si comporta come ci hanno insegnato i libri di storia: obbedisco. Il presidente del Consiglio, da parte sua, dopo aver navigato a vista per un po’ giorni ora può riprendere la rotta, rimettendo il governo in riga. Se ci sarà rimpasto lo scopriremo solo vivendo, ma la tal cosa, al punto in cui siamo, è marginale. Quel che conta è che le due principali istituzioni del Paese restano in mani salde, rassicurando l’Europa e gli alleati più stretti. Forse è davvero questo quel che conta in questa fase, con il Pnrr che rischia di saltare o con i tassi d’interesse entrati nel frullatore, con il serio pericolo di schizzare verso le stelle. Non possiamo permettercelo, non se lo può permettere la nostra economia.

Dunque la convergenza su Mattarella non è stata solo determinante per sbloccare la situazione, ma necessaria per evitare la caduta dal precipizio. Con i piedi sul burrone, sentendo franare il terreno, tanto a destra quanto a sinistra, la paura ha prevalso sulla logica stringente della liturgia politica. Non si può andare a vela quando non c’è vento.  Ecco, la rielezione di Mattarella non può essere rubricata alla voce scialuppa di salvataggio, farlo sarebbe un errore macroscopico, ma va considerata come un’operazione catartica, sperando di non doversi ritrovare più a fare i conti con le devastanti ambizioni personali di chi pensava di essere eletta solo perché lei lo voleva. Quando la democrazia entra in fibrillazione per i meri calcoli personali è destinata alla sconfitta.  Mattarella non è un vincitore, è il salvatore della Patria, colui al quale dovremo continuare a guardare con attenzione, sperando in una auto rigenerazione della politica.

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