A Torino, il 14 ottobre del 1980, alcune migliaia di quadri, impiegati della FIAT, ma anche artigiani, commercianti e piccoli industriali, dopo un’assemblea al teatro Nuovo, sfilano per le vie della città, con slogan e cartelli di forte polemica contro gli operai in sciopero alla FIAT da 35 giorni e i sindacati che avevano organizzato, per impedire sul nascere tentativi di crumiraggio, il blocco dei cancelli di Mirafiori e rigidi picchetti a tutti gli ingressi. Al vertice della FIAT, nel mese di luglio di quell’anno, Umberto Agnelli si era dimesso e Cesare Romiti era divenuto l’amministratore delegato unico della grande azienda torinese, teorizzando e praticando una linea dura nelle relazioni industriali: nell’ottobre del 1979 ben 61 operai sono licenziati, sulla base di accuse rivelatisi senza fondamento, per delle violenze commesse in fabbrica e per connivenze con il terrorismo. In questo clima di forte tensione la direzione Fiat preannuncia, all’inizio di settembre, la cassa integrazione per 24 mila dipendenti e, dopo una inutile trattativa, l’11 settembre, comunica il licenziamento di ben 14.469 operai. Immediata è la proclamazione dello sciopero che ha una risonanza nazionale. Persino il sempre misurato segretario del Partico comunista, Enrico Berlinguer, in un comizio volante davanti ai cancelli, promette il sostegno pieno anche nel caso il Consiglio di fabbrica decida l’occupazione della fabbrica.
A seguito anche dell’intervento dei sindacati confederali, i licenziamenti sono sospesi ma si attuano massicci provvedimenti di messa in cassa integrazione a zero ore in tutti gli stabilimenti Fiat: oltre 20 mila, più numerosi prepensionamenti. A farne le spese sono in forma selettiva i delegati e i militanti sindacali.
Questa è la premessa della “marcia dei quarantamila” del 14 ottobre. Per il vero i partecipanti furono ben lontani da questa cifra: solo 12 mila secondo i dati forniti dalla Questura di Torino, ma il numero fu enfatizzato, paradossalmente, sia da cesare Romiti che dal segretario della CGIL, Luciano Lama e così la cifra dei 40 mila è passata alla cronaca e alla storia.
Nella lunga vertenza i sindacati sembravano avere ancora la forza contrattuale acquisita nella stagione dell’autunno caldo ma la marcia dei quarantamila, quale che sia stato il numero vero dei partecipanti, fu interpretata e sfruttata immediatamente dalla direzione FIAT, di certo non estranea alla sua ideazione, per imporre ai sindacati un accordo che prevedeva la messa in cassa integrazione a zero ore per 23 mila dipendenti, che, di fatto, fu il preludio dei futuri licenziamenti. I 35 giorni della lunga vertenza finiscono con la netta sconfitta del sindacato. Gran parte dei cassaintegrati finirono per essere espulsi dal ciclo produttivo e si ebbero persino, nei quattro anni successivi, ben 149 suicidi tra di essi.
La marcia dei quarantamila chiuse un periodo di fuoco seguito alla crisi congiunturale del settore auto e quella di Fiat in particolare, derivanti in parte dalle crisi energetiche del decennio precedente e dal cambio degli scenari produttivi. Dopo mesi segnati da forti scontri tra azienda e sindacati, il corteo di capi e impiegati invertì gli equilibri e condusse alla firma di un accordo la notte immediatamente successiva, che si risolse in una sorta di resa incondizionata all’azienda. Sono messi in cassa integrazione a zero ore, preludio del licenziamento, 23 mila persone. A Torino, solo due anni dopo, chiude per assumere in futuro nuove funzioni, persino lo stabilimento simbolo della FIAT, il Lingotto.
Paul Ginsborg nella sua nota “Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi” (Einaudi 1989) ha scritto che la marcia dei quarantamila rappresentò “la fine di un’epoca”. Fu un evento periodizzante: nel breve periodo pose fine alla dura vertenza sindacale iniziata 35 giorni prima, facendo trionfare la strategia FIAT di contenere i costi con una drastica riduzione della manodopera; In effetti essa, nel medio periodo costituì la fine della lunga stagione dell’autunno caldo, iniziata con i grandi movimenti sociali del 1968-1969, nella quale si ebbero grandi conquiste salariali e normative del mondo del lavoro. Nel lungo periodo può essere interpretata come un segnale e un simbolo della crisi dell’età del Fordismo: grandi fabbriche, grandi concentrazioni di operai-massa, diffusa sindacalizzazione e forte potere contrattuale e anche, a beneficio della collettività nel suo insieme, affermazione del Welfare State e dei diritti sociali.
Lo storico torinese, Giovanni De Luna, ha dedicato all’evento una stimolante monografia; “La marcia dei quarantamila: come finisce il Novecento” (Feltrinelli 2020). Ragionando sul valore simbolico di quella vicenda, a suo pare, dalla fine degli anni Settanta, con il tramonto della fabbrica e l’esaurirsi del conflitto sociale, la società italiana, come si arguisce dal titolo del suo libro, ne esca trasformata – e non in meglio – e fuoriesce dal Novecento.
Si chiude un ciclo politico e sociale durato oltre un trentennio e s’inaugura una stagione segnata da una nuova antropologia degli italiani, da una nuova realtà produttiva, da una nuova configurazione culturale: l’operaio-massa, il protagonista indiscusso delle lotte e delle conquiste degli anni Settanta, esce di scena; al suo posto si affermano nuove appartenenze sociali basate sulla corsa al benessere individuale o di casta, coagulate attorno alle categorie del mercato, con un indubbio affievolirsi dei valori della partecipazione e della solidarietà.
In forma letteraria è la conclusione del romanzo di Cristiano Ferrarese, “Quarantamila” (Scrittura Pura, 2022), che ripercorre quelle vicende, avendo come protagonisti il giovane operaio Josif, il padre in sciopero, la fidanzata commessa ma anche, per avere più punti di vista, il signor Luigi, che è poi Luigi Arisio, il caporeparto che organizzo la marcia.
Scrive Ferrarese: “La classe operaia ha perso, la Fiat ha vinto con il supporto della classe media e della maggioranza silenziosa. Non credo potesse andare diversamente – conclude – forse la sconfitta avrebbe potuto esser meno dolorosa, ma alla fine a pagarla non sono stati solo gli operai, ma anche molti di quelli che parteciparono alla Marcia del Quarantamila”.