La legge di bilancio 2019 ha incassato il suo primo sì. A due mesi esatti dal Consiglio dei ministri che la varò, la Manovra supera la prima prova del Senato, L’Aula di Palazzo Madama l’ha approvata con il voto di fiducia, dopo settimane assai turbolente, a dimostrazione di quanto sia tutt’altro che solida la maggioranza di governo. Lo stesso stralcio, in extremis, di 15 norme e una settantina di correzioni finali sono la prova dell’esercizio di equilibrismo dei giallorossi. In particolare fa discutere la decisione del presidente del Senato, Elisabetta Casellati, di dichiarare inammissibile la norma per legalizzare la cannabis leggera. Il tema, per quanto grave e importante, è diventato il paravento dietro quale nascondere i buchi neri della manovra. In un Paese in oggettiva difficoltà ci saremmo aspettati di più e meglio da una politica rissosa e da una maggioranza litigiosa. Anche sulle questioni sociali che impattano sulla vita della gente. E sulla cannabis non si può certo giocare così.
Il centrodestra la applaude, maggioranza e governo protestano e il M5s chiede le dimissioni da presidente del Senato. Il testo, ora, deve essere approvato dalla Camera blindato, senza più modifiche, per essere approvato a ridosso del Natale. Salvo imprevisti, la manovra non cambia più. Passa senza la legalizzazione della canapa, con lo stop all’aumento dell'Iva, con un taglio da 3 miliardi delle tasse per i lavoratori, con plastic e sugar tax ma anche con una nuova tegola da 47 miliardi di aumenti di Iva e accise nel 2021 e nel 2022 che dovranno essere disinnescati. Un quadro non proprio confortante, considerando la mutabilità degli indicatori economici del nostro Paese, afflitto da una volatilità preoccupante. Detto ciò il voto del Senato sulla manovra arriva comunque con il “si” convinto di Pd e Leu, con un sì con riserva di Iv e con un sì condito da qualche mal di pancia per i Cinque stelle. Una manciata di senatori 5s fino all’ultimo si mostra in dubbio se partecipare al voto e Gianluigi Paragone vota no.
In Aula il clima, ovviamente, si è surriscaldato solo a inizio di seduta, quando Casellati dichiara inammissibili 15 norme, tra cui quella introdotta da un emendamento M5s che avrebbe l’effetto di legalizzare la cannabis light. Tutto come da copione. Il centrodestra, fedele al suo ruolo, applaude il presidente. E la maggioranza protesta: “E' una scelta tecnica”, perché le norme ordinamentali non possono andare in manovra, “se questa misura per voi è importante fatevi un disegno di legge”, ribatte il presidente. “Ci tengo a ringraziarla 'tecnicamente' per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore”, sorride Matteo Salvini. Dal governo il ministro Federico D’Incà protesta con garbo: “Rispetto la decisione ma sono amareggiato, non era una liberalizzazione ma una regolamentazione del mercato della canapa”. Il capogruppo del Pd, Andrea Marcucci, dice di “non capire” la scelta. Il M5s, con Giuseppe Brescia, chiede le dimissioni di Casellati. E per tutto il giorno i senatori continuano ad accapigliarsi sul tema. “Drogato!”, urla Ignazio La Russa a un senatore M5s. Mentre Loredana De Petris sfida tutti i senatori del centrodestra a fare un test antidroga dopo le vacanze. Il viceministro 5s Stefano Buffagni sfida Salvini: “Facciamo il test, non solo sulla cannabis”. Intanto, però, la norma salta. Il vaglio finale della Ragioneria dello Stato sul maxi emendamento su cui il governo mette la fiducia porta anche altre novità.
Sono circa 70 le norme che vengono cambiate in extremis per errori di forma o mancanza di coperture. Salta il rinvio da luglio 2020 a gennaio 2022 della fine del mercato tutelato per l'energia e salta anche la sospensione del reddito di cittadinanza in caso di lavori brevi, così come l'estensione ai pediatri dei fondi per avere macchinari per gli esami in studio. Nicola Zingaretti a nome del Pd mette l'accento su quanto di buono si è fatto: “E' una manovra 'Salva Italia' e il risultato sul piano economico è positivo: l’obiettivo, con fatica, è stato raggiunto ed è utile per chiudere una stagione e aprirne una che ridia speranza”. Molto più critici i toni di Matteo Renzi, che prende la parola nell’Aula del Senato e – citando implicitamente una vecchia frase del premier Giuseppe Conte – dice che “non è stato un anno bellissimo”. Poi annuncia già la prossima battaglia in Parlamento per abolire la sugar tax e la plastic tax (che è stata già ridotta e rinviata, portando alle casse dello stato non più 1 miliardo ma 140 milioni). Poi attacca: “Il 2020 è l'anno delle scelte: il governo deve cambiare passo”. Per ora, denuncia dall'opposizione Emma Bonino: “Non c’è stata discontinuità: è una pseudofarsa indecorosa, come l'anno scorso fece il Conte 1, per rispetto del Parlamento non voto”.