Al netto dei dibattiti estivi, del tutto accademici e fine a se stessi, l’unica vera missione (non del tutto impossibile) del governo guidato da Paolo Gentiloni è quella di varare una legge di bilancio che sia capace di bilanciare sogni e bisogni. I primi appartengono alla politica che punta ad una manovra elettorale, essendo già in campagna per le prossime elezioni, i secondi agli italiani che vorrebbero finalmente uscire dalla palude di una crisi senza fine. Questa legge di bilancio potrebbe essere l’inizio della fine, sempre che ci sia la volontà.
Le prime indiscrezioni alimentano tanto i dubbi quanto le certezze. Con la manovra finanziaria, che verrà varata a ottobre, il governo punta a rendere strutturali, e magari ad ampliare, le risorse a disposizione per incentivare il sistema duale di alternanza scuola-lavoro, l’unico meccanismo virtuoso in grado di alimentare il mercato del lavoro a costi ridotti. Si tratta di risorse da inserire nella prossima che potrebbero oscillare tra i 40 e gli 80 milioni di euro l’anno. Non è il punto centrale del documento, ma rappresenta un elemento molto interessante. A rivelarlo è stato il sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba, al termine della riunione della commissione Lavoro alla Camera.
Attualmente le risorse della fase sperimentale sono state stanziate fino al 2017 in qualità di incentivi ai contratti di formazione-lavoro e fondi alle Regioni. Il governo è al lavoro per raccogliere i frutti della fase sperimentale e rendere strutturale il sistema duale. Non è una cattiva notizia. Da una prima ricognizione con le Regioni, fatta dal governo, i giovani inseriti in questo percorso sono circa 23 mila. I dati si riferiscono all’anno scolastico 2016-2017, durante il quale gli studenti lavoratori hanno partecipato a corsi d’istruzione duale che hanno poi portato a contratti di apprendistato formativo o a una alternanza rafforzata. Potrebbe essere un buon modo per aggredire la disoccupazione giovanile.
Lo stesso ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha confermato che il “governo farà le sue proposte che presenterà in legge di Bilancio e il Parlamento farà quello che la nostra Costituzione prevede: esaminerà ed eventualmente emenderà. Ma credo che ci siano le condizioni per fare una buona legge di Bilancio”. Le premesse ci potrebbero essere, meglio usare il condizionale, visto che quando il documento arriverà in Aula scatterà il solito assalto alla diligenza. E’ in quella fase che i sogni dei partiti provano a diventare realtà, con emendamenti ad hoc per favorire gli amici degli amici e non la maggioranza degli italiani. Questo è il vero problema di fondo e del quale al ministero del Tesoro sono perfettamente consapevoli.
Dal punto di vista pratico il giorno da fissare in calendario è mercoledì 27 settembre. Entro quella data il governo deve varare la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def). Un passo preliminare alla presentazione da parte dell’esecutivo del disegno di legge di Bilancio 2018, entro il 20 ottobre. Testo che poi dovrà essere approvato dal Parlamento (con eventuali modifiche) entro il 31 dicembre.
Nel corso dell’iter parlamentare, in base alle richieste dei partiti, potrebbero poi intervenire delle modifiche. Limature potrebbero esserci anche in base alle indicazioni che verranno da Bruxelles. Sotto il profilo economico il “sentiero è stretto”, le “risorse sono limitate” e “la legge di Bilancio non deve far danni”, ha avvertito Pier Carlo Padoan. Un invito alla prudenza, quello del ministro dell’Economia, e uno stop a tutti coloro, a partire dal segretario del Pd Matteo Renzi, che vorrebbero una manovra ambiziosa, con grandi tagli delle tasse (Irpef) e rilevanti interventi per la crescita e il sostegno ai poveri.
Al momento, a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia, si ragiona invece su una manovra che costa nel 2018 tra i 22 e i 25 miliardi di euro e dove non tutte le coperture sono state ancora individuate. Mancano all’appello ancora tra i 7 e i 10 miliardi, nonostante la manovra sarà finanziata per circa 9 miliardi da un maggior deficit rispetto a quanto previsto nel Def (Documento di economia e finanza) presentato dal governo lo scorso aprile.
L’indebitamento netto per il 2018 dovrebbe infatti salire all’1,8% rispetto all’1,2% stimato nel Def, comunque ben sotto il tetto del 3% richiesto dall’Ue e in diminuzione sul deficit 2017. “Abbiamo chiara la differenza tra legge di Bilancio e piano di legislatura”, ha spiegato il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, “sulla prossima legge di Bilancio non abbiamo grandi aspettative, non ci sono grandi risorse e occorre fare in modo di usarle sui nodi di sviluppo, come si è fatto fino ad oggi”. La speranza è che sogni e bisogni, stavolta più che in passato, trovino un punto d’equilibrio.