Spesso, quando si parla della Magistratura, si sente parlare di correnti a cui i magistrati stessi aderirebbero. Il tono è sempre di critica e si adombra che tali raggruppamenti, descritti come opache aggregazioni, sarebbero in grado di condizionare, anzi condizionerebbero realmente, il lavoro del magistrato e, quindi, inciderebbero sugli esiti dei processi. E’ opportuno, quindi, approfondire il ruolo e la organizzazione di tali gruppi, per far comprendere quale ne sia stata la genesi e se oggi ancora la loro esistenza sia utile e positiva.
La premessa necessaria è che la rappresentatività esterna dei Magistrati è da individuarsi nella Associazione nazionale magistrati, la cosiddetta Anm. Si tratta di una associazione privata cui si può liberamente aderire o meno, ma che certo è l’unica organizzazione che esprime, in sede pubblica, la sensibilità, i propositi ed anche le pretese sindacali dei Magistrati. Non fu costituita, oltre cento anni fa, in forma di sindacato, volendosi, con la forma associativa, perseguire fini di non esclusivo interesse di categoria, ma, quanto meno nelle aspirazioni, “dare opera” come si legge nello statuto, “affinché il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali”, propugnando “l’attuazione di un Ordinamento Giudiziario che realizzi l’organizzazione autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di diritto in un regime democratico”.
Come si vede, almeno tendenzialmente, la volontà di creare un organo che guardi ad interessi pubblici: da qui il rifiuto di una scelta meramente sindacale che, pur tuttavia, rientra tra gli ulteriori e pur primari scopi della Anm, prevedendosi il dovere di questa di “ tutelare gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria”.Obiettivi così ambiziosi, a cui se ne aggiungono statutariamente altri sempre di rilievo primario per ogni magistrato, hanno imposto il superamento di una idea di creazione di una pluralità di associazioni, situazione che ne avrebbe indebolito la capacità di perseguimento; parimenti, però, è evidente che le sensibilità nell’approccio ai problemi, le priorità negli scopi, i percorsi da intraprendersi e le modalità di azione erano differenti. Ed allora la creazione, nel tempo, di quei gruppi che nel tempo si sono formati, il termine corrente, in uso negli anni sessanta quando si intraprese il percorso di creazione di tali gruppi, la volontà, con quel termine, di non creare una spaccatura o una frammentazione, volendosi intendere che si trattava di componenti associative che, nelle loro diversità, tutte miravano agli scopi trasfusi nell’unico statuto della Anm in cui si riconoscevano.
La diversità, quindi, intesa come arricchimento culturale, la Anm come luogo di confronto interno ove elaborare idee sulla materia della Giustizia – e non a caso utilizzo il termine usando la maiuscola – la collaborazione tra tutti che avviene anche attraverso un contrasto costruttivo che è “il sale” della democrazia, la possibilità, infine, di esprimersi attraverso rappresentanti che tutti hanno voluto, è motivo di credibilità di quanto esposto alla collettività. Il tempo ha decretato il successo di tale sistema che oggi, sembra a taluno, segni il passo, giungendosi a degenerazioni definite “correntizie”. La critica principale è quella che i gruppi abbiano perso la propria idealità e siano diventate fazioni che si combattono al solo fine di valorizzare gli interessi degli aderenti, aggregazioni di potere prive di idealità.
Tale conclusione è certamente stata supportata da una ininterrotta campagna denigratoria di stampo politico che, nel recente passato, giunse ad ipotizzare che i rappresentanti delle componenti associative, lungi dall’interessarsi dei problemi istituzionali ed ordinamentali della Magistratura, lavorassero oscuramente per condizionare esiti di processi.Complesso e certamente controverso sarebbe l’esame dei comportamenti delle correnti e delle supposte distorsioni delle scelte operate, le questioni umane presentano tutte chiaroscuri e le critiche non possono esser respinte apoditticamente, ma vanno esaminate, approfondite, colte perché siano fonte di rinnovamento. Certamente, però, in questi anni la ricchezza culturale della Magistratura, la chiarezza delle sue parole, la legittimazione stessa del suo operare è passata attraverso il lavoro e la credibilità della ANM e delle sue componenti associative.
Le correnti, in Magistratura associata, hanno costituito e tuttora costituiscono stimolo di riflessione, mezzo di coinvolgimento dei nuovi magistrati, luogo di elaborazione di idee, sfuggendosi, in tal modo, ad aggregazioni non trasparenti e basate su personalismi.Ed è proprio il fatto di non esser solamente sindacato che ha dato maggior respiro all’attività associativa: ed ai magistrati che oggi contestano l’esistenza e l’utilità delle componenti associative – che, volendo sfuggire all’usura delle parole hanno inteso, in talune occasioni, definirsi “movimenti” – occorre ricordare che la socialità è propria di ogni uomo, avvicinarsi a chi abbia impostazioni di principio simili è motivo di crescita, confrontarsi serenamente con chi la pensa in modo diverso serve ad affinare la coscienza e la cultura.
Taluni degli odierni attacchi alle correnti lungi dall’apparire frutto di voglie moralizzatrici, sembrano finalizzate a destrutturare il sistema organizzativo della Magistratura associata sì da indebolirne la credibilità e la voce. D’altro canto, altre critiche non possono esser messe da parte senza una analisi che prenda in considerazione il malcontento da cui nascono: errori sono stati fatti, miglioramenti sono possibili, stimoli alla riflessione sono necessari. Pur tuttavia occorre ben riflettere prima di affermare che voci che intendono, con tutti i limiti degli uomini, fornire al sistema il proprio apporto di passione e di idee, siano un male da estirpare: forse è proprio la libertà di quelle voci che costituisce la ragione stessa delle critiche che oggi sentiamo farsi pericolosamente spazio in un sentire comune.
Paolo Auriemma, Pubblico Ministero