505 anni fa si consumò di fatto lo strappo tra il pastore Martin Lutero e la Chiesa di papa Leone X. Il 31 ottobre 1517 nasce la religione protestante. Con l’affissione sul portale della chiesa d’Ognissanti di Wittemberg (Sassonia) delle 95 tesi. Un gesto per contestare Roma e la pratica delle indulgenze. Cinque secoli dopo ha detto Papa Francesco: “Abbandonati i pregiudizi su Lutero, cattolici e luterani mai più avversari“. Rivolgendosi alla alla presidenza della Federazione luterana mondiale, il Pontefice ha evidenziato che “prima delle ‘differenze’, c’è la realtà del nostro Battesimo“.Solo pregando possiamo “custodirci gli uni gli altri”, ha sottolineato papa Francesco alla Commemorazione dei 500 anni della Riforma. Il suo viaggio a Lund, a fine 2016, lo ha ribadito. “Non da progetti umani, ma dalla grazia di Dio germoglia e fiorisce il dono dell’unità tra i credenti – afferma Jorge Mario Bergoglio-. La preghiera purifica, fortifica, illumina il cammino, fa andare avanti. La preghiera è come il carburante del nostro viaggio verso la piena unità. Infatti l’amore del Signore, che attingiamo pregando, mette in moto la carità che ci avvicina. Da qui la pazienza del nostro attenderci. Il motivo del nostro riconciliarci. La forza per andare avanti insieme”.Inoltre il “cammino ecumenico suscitato dallo Spirito Santo ci ha portato ad abbandonare gli antichi pregiudizi. Come quelli su Martin Lutero e sulla situazione della Chiesa Cattolica in quel periodo”. A ciò, sottolinea il Papa, ha contribuito “notevolmente” il dialogo tra la Federazione luterana mondiale e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani Condotto da ormai cinquant’anni. A partire dal 1967. Francesco si riferisce ad alcuni testi “particolarmente importanti”. Come la “Dichiarazione Congiunta sulla dottrina della giustificazione”, firmata nel 1999. E il documento “Dal conflitto alla comunione”.Il dialogo ecumenico è il “fil rouge” che unisce gli ultimi sei pontificati. Il programma di ogni papa è dato dal Vangelo. E dalla sua interpretazione così come si è configurata nella tradizione. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono posti tutti nella linea del Concilio ecumenico. Cercando di attuarne le novità. Francesco ha canonizzato Giovanni XXIII che aprì il Vaticano II. E Paolo VI che lo condusse in porto degnamente, soffrendo per farlo realmente recepire. Oltre a Giovanni Paolo II che l’ha vissuto intensamente. Per Benedetto XVI non si può parlare di beatificazione perché è ancora vivo. Ma la sua fedeltà all’assise ecumenica è indubbia. E le sue riserve su alcune conseguenze non desiderate del Concilio, come in fatto di liturgia, non modificano una linea di sostanziale fedeltà allo spirito del Concilio. Con buona pace di coloro che speravano che con papa Ratzinger la Chiesa facesse, almeno parzialmente, marcia indietro. Non si può dire che un papa sia più conciliare dell’altro. Ciascuno, in questi sessant’anni, ha portato un suo stile e una sua sensibilità. Ma sempre nella scia conciliare.Giovanni Paolo II è stato un grande missionario e un evangelizzatore a livello mondiale. Simbolo (anche fisicamente, finché ha avuto buona salute) di una Chiesa che nello smarrimento del mondo moderno, ha certezze da dare. E splende come un faro nella notte. Trasformandosi in fiaccola che va a portare luce
nei suoi viaggi e nei suoi infiniti contatti. La personalità dei papi, come di tutti, è complessa e non è mai di un colore solo. Benedetto XVI ha portato alla Chiesa e
al mondo la sua profonda preparazione teologica e di pensatore. Cercando di riportare all’essenziale il messaggio evangelico he talvolta sembra dissolversi nella cultura moderna. Quella di Francesco è una Chiesa che si preoccupa più degli altri che di se stessa. In dialogo prima di tutto con i fratelli separati. Più che una novità è la continuazione, con la stessa tenacia, di tutto il movimento ecumenico che il Vaticano II ha benedetto e rafforzato con i suoi documenti. Ne è una conferma il cambio di atteggiamento e di linguaggio verso gli ebrei. Verso le Chiese non cattoliche.E anche verso i musulmani e i fedeli di altre religioni. Riconoscendo “semi del Verbo“, cioè elementi di verità e di bontà, anche nella loro fede.