“Tra queste case c’è qualcuno che ha visto e che sa”. Parole di fuoco, quelle della mamma della piccola Fortuna Loffredo, la bimba di sei anni precipitata di sotto dall’isolato numero 3 della palazzina in cui viveva con la madre e il compagno di lei nel Parco verde di Caivano il 24 giugno scorso. La bimba, rivela ora l’autopsia, avrebbe subito degli abusi sessuali. Ma sono proprio le parole della madre adesso ad aggiungere il sale sulla ferita di una morte così atroce. Un anno prima un altro bimbo, Antonio Giglio, di 3 anni, era morto nello stesso identico modo, precipitando dal balcone. Anche allora si era parlato di incidente, anche se quella morte adesso assume tutta un’altra prospettiva, alla luce sinistra della tragedia della piccola Fortuna; amica e coetanea peraltro della sorellina di Antonio, Doriana, l’ultima ad averla vista in vita, al punto che ora gli inquirenti vogliono sentirla.
Per capire le parole della mamma della bimba, è necessario conoscere la realtà del Parco verde di Caivano. A poche centinaia di metri si trova la parrocchia di Don Maurizio Patriciello, il parroco coraggioso della martoriata terra dei fuochi, che da anni si batte contro l’illegalità, gli sversamenti clandestini di rifiuti, contro la camorra. Le vicine case popolari del parco verde sono territorio degradato nel quale lo Stato ha abdicato al proprio ruolo, lasciando campo libero alla malavita organizzata. Attività illegali di ogni tipo, su tutte lo spaccio di droga, trovano qui facile terreno di coltura, la disoccupazione è altissima, come pure il tasso di mortalità. In questo scenario è facile che davvero qualcuno abbia visto quello che succedeva alla piccola Fortuna Loffredo, ma abbia preferito tacere nel desiderio di non immischiarsi, o anche solo per semplice sfiducia o ostilità nei confronti delle forze dell’ordine, come suggeriva tempo fa un collega del Corriere della Sera che vive non lontano da quelle zone, Antonio Crispino.
Stavolta però il caso è diverso. Non si tratta di denunciare uno spacciatore, non si tratta di raccontare che Tizio o Caio rubano macchine o motorini. C’è di mezzo la morte di una bambina di sei anni, e forse di un bimbo di tre, ci sono gli abusi sessuali, tragedie orribili davanti alle quali non si può voltare la testa. L’omertà che mille volte in certi territori dimenticati dallo Stato diventa costume di vita, in un caso come questo, e mai come oggi, è davvero peccato mortale.