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L’obiettivo del califfato

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Nell’Isis la proclamazione del califfo e il successivo giura­mento di fedeltà vanno di pari passo con l’istituzione del califfato e la sua reperibilità territoriale, anche se non definitiva e in estensione (salvo lo scontro che l’Occi­dente ha ingaggiato per frenare o per eliminare i terroristi). Si può notare l’uso simbolico che fanno i jihadisti del richiamo al califfato delle origini, vale a dire dei primi momenti dell’islam, quando, alla morte del profeta Muhammad, nel 632, Abu BaIa, fedele compagno del Profeta, fu eletto primo califfo dell’islam. La bandiera dello Stato islamico, su fondo nero, che è il colore anche del suo esercito, riproduce la testimonianza di fede, la shahada, che recita: “Non esiste nessun Dio al di fuori di Dio e Muhammad è il suo messaggero”. Il tipo di scrittura si rifà allo stile kufico, uno stile calligrafico dei primi se­coli dell’islam, estremamente sobrio: questo segmento dell’islam politico ha come modello la nozione di sa­lafismo, come ricerca della purezza originale. Inizial­mente, per “salafiti” si intendevano i primi pii, i primi puri che hanno vissuto l’esperienza profetica della co­munità di Medina, durata dieci anni, tra il 622 e il 632.

Esiste dunque questa sublimazione di una purezza ori­ginale e questa visione quasi mitica non può che fare tabula rasa di tutto ciò che è la storia della modernità e delle sue conquiste in Occidente e non solo. Confrontarsi con questo dato sarà dunque estrema­mente lungo e difficile perché il contesto non è più quello del deserto arabo, quello del famoso colonnello Lawrence d’Arabia e del generale Allenby, anche se nei video degli jihadisti lo sfondo è sempre il deserto, dove non appare nessuna altra realtà, come se un micidiale vento fosse arrivato spazzando via tutto per poter ricostruire e reinventare ciò che loro vogliono fare: il califfato.

Il contesto di oggi è quello di un islam mondializ­zato, di un islam globalizzato che trascende le vecchie fron­tiere geografiche e che distrugge, spezzandolo, l’antico rapporto fra territorialità e identità, annunciando la fine delle nazioni. Quando l’Isis parla di un califfato mon­diale, significa che il mondo intero, poco a poco, dovrà essere sottomesso all’islam. Si capisce così che questa volontà egemonica è una premessa per una nuova forma di totalitarismo, di un totalitarismo di terzo tipo, pro­prio perché si muove nella globalizzazione.

La funzione della jihad ha essenzialmente la finalità di costruire l’ordine politico necessario alla realizza­zione islamica. Ha dunque per oggetto un diritto di Dio, quello della sottomissione del musulmano e, alcuni affermano, della sottomissione a Dio dell’umanità intera ed è per questo motivo che nei testi dell’Isis si insiste sull’affer­mazione di un califfato mondiale. Questo ha dunque bisogno di un esercito non territoriale ma proveniente dal mondo intero ed è per questo che si deve parlare di globalterrorismo o di eurojihadismo. Il califfato trascende dunque le tradi­zionali frontiere nazionali del reclutamento ed è proprio la globalizzazione, con il suo vettore portante, internet, che fornisce oggi il suo carattere “inedito”, perché è la prima volta che si vive all’interno di una specie di dop­pia geografia: una geografia reale, là dove si svolgono le attuali guerre, e una geografia virtuale, mondiale, che però riesce a realizzarsi sul piano concreto perché tra­mite i social network il computer diventa una specie di passaporto elettronico e di ufficio di reclutamento, da cui arriva la chiamata alla jihad.

Carlo Maria Capristo

Procuratore della Repubblica di Trani

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