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Livorno, da 400 anni modello di integrazione

I flussi migratori, da anni, tengono alta l’attenzione sulle pagine dei quotidiani e non solo. Sbarchi continui, ancora più frequenti, quando esplode la stagione estiva. Una situazione che si sta rivelando incontrollabile per molteplici ragioni

Con queste righe, però, non è mia intenzione spiegare, se mai ve ne fosse bisogno, un argomento ormai saturo di analisi e commenti di ogni genere, ma mostrare una delle realtà del nostro Paese dove, l’interazione e l’integrazione nei secoli, sono state gestite e controllate. Si tratta di Livorno, città nata in epoca rinascimentale, che la famiglia fiorentina De’ Medici, sovrani del Granducato di Toscana, volle e rese multietnica, definendola “Città delle Nazioni“, ideale porta di accesso dal e del mare, dove la grande famiglia di mecenati, realizzò un luogo unico e speciale. Città che ancora oggi mantiene queste caratteristiche.

Ma torniamo alla Storia. Nel 1591, Ferdinando I De’ Medici, Granduca di Toscana, per dar vita al suo progetto su Livorno promulgò le Leggi livornine, serie di provvedimenti legislativi emanati per incrementare il numero di abitanti della città ed il suo sviluppo economico. Le leggi livornine vennero ampliate nel 1593 con l’entrata in vigore della Costituzione Livornese, che garantiva anche le libertà di culto e politica. In città, quindi, cominciarono ad arrivare da ogni dove, spagnoli, turchi, mori, portoghesi, greci, armeni e persiani, configurando Livorno, come luogo di frontiera, cosmopolita, multirazziale e multireligioso.

La situazione demografica determinò, col tempo, anche la costruzione di spazi cimiteriali e luoghi di culto delle varie confessioni, contribuendo ad incentivare la contaminazione culturale tra i popoli che vi venivano ad abitare, oltre che dare una significativa spinta per la costruzione del porto, destinato a rivestire il ruolo di principale sbocco a mare, del traffici del Granducato di Toscana.

I primi ad insediarsi furono gli ebrei che, in fuga da Spagna e Portogallo, colsero l’opportunità di trasferirsi nello scalo toscano. Alla nascente comunità, i Medici offrirono protezione e status di libertà, concreti diritti civili e di culto, contrariamente a quanto stava accadendo in altre realtà europee, dove le persecuzioni e i ghetti, erano in generale la norma. Ghetto che a Livorno è stato da sempre inesistente, anche durante la seconda guerra mondiale. La presenza degli ebrei assicurò prosperità nei commerci, e l’inserimento nel tessuto urbano di nuovi gruppi di mercanti stranieri produsse ricchezza.

Così, a fianco della religione cattolica, si estese quella ebraica, con la costruzione di una sinagoga. Solo più tardi sorsero gli edifici sacri delle altre confessioni, dei popoli che si stavano insediando in città: greci, britannici, olandesi/alemanni, armeni, maroniti, turchi, e oggi i musulmani. Livorno, quindi, ad inizio seicento era già compiutamente, quello che l’Europa non riesce oggi ad essere, e che faticosamente non riesce a creare. Piano piano il processo d’integrazione, più che di tolleranza, che in un primo momento coinvolse le classi ricche, allargò le sue braccia anche ai flussi migratori dei ceti più poveri, provenienti dal bacino del Mediterraneo.

Questi ultimi, vennero subito impiegati nei lavori più umili, in qualità di operai e manovalanza. Il progetto mediceo fece capire da subito, che ciò che contava, per non suscitare malumori e scontri sociali, era aver creato una società variegata ma organizzata capillarmente. Si veniva accolti ma bisognava lavorare per godere dei massimi privilegi. Per tornare ai giorni nostri, alla luce di tutto ciò, i problemi che stanno emergendo dai flussi migratori, scaturiscono dalla mancanza di un progetto di accoglienza, serio e trasparente, per il bene di chi aiuta e di chi è ospite, e tutto quello che non corrisponde e a ciò, porta malessere e rifiuto a prescindere, come purtroppo sta accadendo.

L’Archivio di Stato di Livorno conserva le testimonianze di coloro che, nei secoli passati, hanno vissuto in questa città. Dai documenti emergono gli scambi intercorsi con le varie realtà, spesso dal carattere cooperativo; esempio, per noi, da non sottovalutare. Uno sfondo storico, che allo Stato attuale, dovrebbe servire non solo per ricordare, ma sopratutto per recuperare un patrimonio sociale e organizzativo, che abbiamo tralasciato, continuando a commettere errori.

Importante è ricordare che Livorno, già da quattro secoli or sono, fu pioniera nel varare delibere e leggi chiare, che dimostravano concretamente la volontà di far vivere i popoli in sanità e rispetto reciproco.

Tra i provvedimenti, troviamo quelli sulla strategia sanitaria, applicata sullo scalo portuale, per prevenire e arginare i rischi associati al contagio, inducendo le popolazioni a collaborare. Parallelamente, dette vita anche ad operazioni di solidarietà: dalla liberazione degli schiavi, all’accoglimento delle richieste di asilo per i perseguitati politici.

Il Mediterraneo, area di confine multietnica, come spesso viene definita, sin dall’antica Roma è stato bacino molto ambito per i traffici commerciali, lacerato nei secoli da guerre di conquista. Ha unito e diviso i popoli confinanti, in una convivenza fatta di accordi e contrasti, con al centro l’Italia, da sempre invasa, colonizzata, arricchita e depauperata, dove ciascun popolo ha lasciato tracce evidenti del proprio passaggio o della propria permanenza.

Per concludere, a conferma di quanto detto sin ora, fu proprio il Granduca Ferdinando I a coniare il motto “Diversis Gentibus Una” ovvero “Da genti diverse, una sola comunità“, che fece incidere sulla prima moneta di quattrocento anni fa, per identificare Livorno. Lo spirito labronico, così aperto alla convivenza tra etnie, ha sempre convissuto pacificamente in osmosi sociale, politica ed anche gastronomica.

Il mondo sta cambiando, si sta evolvendo e molti popoli stanno emigrando. Un processo difficile da fermare, ma che diventa necessario arginare. I popoli in sofferenza si stanno spostando alla ricerca di una vita migliore, che potranno trovare o no. Sarà solo il tempo a dirlo. L’Europa si è fatta trovare impreparata, profondamente provata da una crisi economica e sociale che sembra non finire. In questo contesto di grande caos, preannunciato circa venti anni fa da economisti e sociologi premi Nobel, il vecchio continente non riesce a pensare a se stesso, figuriamoci al resto del mondo. L’Africa sembra svuotarsi, reagendo alla propria povertà, che anche noi occidentali abbiamo creato, sventrando il loro Continente, dal sottosuolo ricco di minerali, oro, diamanti. Tutti possono e devono aiutare chi, in difficoltà, lancia il suo Sos, ma senza programmazione lavorativa e sociale, non si va molto lontani, fomentando solo razzismo e diffidenza. La storia di Livorno, oggi, può rappresentare un esempio virtuoso.

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