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L’inutile “guerra al contante”

Usare i soldi, come solitamente definiamo il contante che abbiamo in tasca, è un’abitudine consolidata per tutti, anche per quelli come me che preferiscono, per semplicità e sicurezza, l’uso della carta di credito; si parla di azioni che si svolgono con naturalezza, per pagare un caffè o per prendere il giornale la mattina, ma, nella retorica politica degli ultimi anni sembra che rappresenti il male, il viatico all’evasione fiscale, la vera piaga del Paese.

Non si può nascondere che la gestione del contante, per lo stato e per gli istituti di credito, sia un costo rilevante, si parla di miliardi di euro all’anno, cosa che una maggiore digitalizzazione delle transazioni permetterebbe di risparmiare e, quindi, dal lato del governo di reindirizzare i fondi verso altri capitoli di spesa (o, meglio, alla riduzione delle imposte) mentre dal lato delle banche di poter ridurre le tariffe o registrare una componente positiva di reddito in più che, oggi, non farebbe assolutamente male nel processo di rafforzamento patrimoniale. Allo stesso tempo solo un folle potrebbe negare che il “nero” sia regolato esclusivamente in contanti per via della natura di titolo al portatore e non tracciabile che caratterizza monete e banconote.

Detto questo la retorica dell’evasione è, oggi, quantomeno stucchevole poiché i recenti dati di Istat e Ade hanno ridimensionato non poco il fenomeno, fornendo cifre precise sulla stima dei fondi sottratti al Fisco: a livello nominale, infatti, nel 2016 l’evasione rappresenterebbe 15,6% del Pil che è nella media europea e di circa un punto percentuale sotto il livello calcolato da Destatis per la Germania. Se, poi, il dato fosse rapportato alla pressione fiscale reale (come risulta dalle rilevazioni della Cgia di Mestre e dell’Ordine dei Commercialisti) il rapporto rispetto al Pil scenderebbe al 13,1% che si colloca nell’ultimo percentile della distribuzione dei dati europei di pochi decimi di punto sopra il livello dello Uk che è lo stato più “virtuoso“.

Le cifre qui riportate sono importanti poiché smontano tante leggende che circolano sulle abitudini degli italiani che non devono più essere visti come “un popolo di evasori” ma come dei soggetti che riescono a convivere, a produrre e a mantenere, nonostante la pressione fiscale più alta in area Ocse, quote di mercato importanti a livello globale e, in questo, anche il contante aiuta poiché è il metodo più flessibile e immediato di pagamento, che funziona anche in mancanza di linea o di corrente elettrica, e che ha i minori costi per l’esercente (posto che quelli per la gestione delle banconote siano computati a livello di canoni bancari e di imposte, che sarebbero corrisposti anche in presenza di pagamento elettronico).

Inutile ricordare, poi, che per molte persone anziane anche solo il parlare di carta di credito fa azionare dei meccanismi di rifiuto e che accettano il bancomat solo per poter prelevare anche nei fine settimana o quando gli sportelli bancari sono chiusi, questo, ovviamente, senza dimenticare quelli che il primo del mese “prelevano la pensione” per depositare in conto quanto non speso a fine mese.

Possono bastare queste argomentazioni per smontare le ragioni dellademonizzazione del contante? Sembrerebbe di no, giudicando le ultime ipotesi che si stanno stagliando in vista della legge di bilancio prossima ventura.

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, recentemente, ha dichiarato “Dobbiamo porci il problema di come incentivare l’utilizzo della moneta elettronica in Italia. Valutare leggi fiscali che possano aumentare in una prima fase l’utilizzo della moneta elettronica. E dobbiamo porci il problema di come aggredire il contante che è presente nelle case: utilizzare il contante senza consentire operazioni di pulizia di chi ha ottenuto quel denaro in modo illecito”.

L’idea di incentivare l’uso della “moneta elettronica” è un concetto ampiamente condivisibile, sia per gli aspetti di sicurezza e praticità di essa sia per la questione degli ingenti risparmi nella gestione annua della massa fisica circolante di denaro. Quello che spaventa è la seconda parte, laddove si parla di aggredire il contante presente nelle case. Come fai a stabilire se ci sia o se sia di provenienza illecita? Perquisizioni a tappeto nei domicili degli italiani?

Da Il Sole 24 Ore si legge che “La stima è che tra cassette di sicurezza e altre forme di conservazione (magari anche la vecchia immagine del gruzzoletto nascosto sotto il materasso) ci sia una cifra che oscilli tra 150 e 200 miliardi di euro in contante“.La cosa è interessante anche perché la Bce indica che il circolante in Italia ammonti a meno di 165 miliardi di euro ma evidentemente ci sono più soldi occultati in Italia di quanti ne abbia stampati la banca centrale.

Come conseguenza di queste ipotesi c’è chi stia pensando a una Voluntary Disclosure interna per regolarizzare le cifre “nascoste dietro al mattone”, cosa che potrebbe obbligare anche a pagare un balzello per le cifre regolarmente guadagnate e, a mio parere, stupidamente custodite in cassaforte a domicilio o in cassetta di sicurezza, cosa che è più comune di quanto si pensi soprattutto dopo il prelievo forzoso messo in atto dal governo Amato in una notte d’estate nel 1992.

Sembrerebbe, dopo il ragionamento descritto finora, che il contante sia l’argomento jolly da estrarre dal mazzo quando si vuol puntare il dito verso un fenomeno, quello dell’evasione fiscale, utilizzato per anni come scusa per non intervenire sul vero problema alla base del fenomeno che è la pressione fiscale troppo elevata e difficilmente gestibile da una persona senza avvalersi di esperti del settore, visti gli innumerevoli adempimenti che la burocrazia fiscale impone. Non serve scomodare Arthur Laffer per comprendere che una riduzione cospicua di imposte, oggi, potrebbe avere credibilmente un effetto positivo sull’erario, rilanciando redditi, investimenti e consumi quindi di aumentare il gettito potenziale anche con un fisco molto più leggero; la cosa divertente è che in quest’ultimo scenario anche l’evasione calerebbe perché meno conveniente portandoci non nell’ultimo percentile della distribuzione tra i più “virtuosi”, fiscalmente parlando, ma ad insidiare il primato, oggi, dello Uk ma, forse, questo non interessa a una certa politica sempre in cerca di un nemico per giustificare non solo la sua ingordigia erariale ma, pure, la propria esistenza.

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