Dopo gli ultimi due anni passati un po’ in sordina, i Paesi del gruppo Brics sono tornati a riunirsi a Johannesburg fino al 27 luglio per rilanciare iniziative politiche e commerciali. La capitale sudafricana ha ospitato il decimo summit del formato che rappresenta l’associazione tra i cinque Paesi caratterizzati dalle maggiori economie emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Il primo vertice, tenutosi a Jekaterinburg nel 2009, vide la partecipazione di soli quattro Stati, dal momento che solo nel 2010 il Sudafrica ha preso ufficialmente parte al gruppo. Fin dal primo incontro, i Paesi Brics hanno sempre sostenuto la necessità di una riforma dell’ordine economico mondiale e delle istituzioni finanziarie, con l’obiettivo di salvaguardare gli interessi economici dei Paesi economicamente e politicamente emergenti attraverso la concreta istituzione di fondi comuni volti ad affrontare possibili choc finanziari e fluttuazioni dei prezzi delle materia prime. Il gruppo è solito tenere i suoi incontri con cadenza annuale, tra i quali si è distinto per importanza quello del 2014 tenutosi a Fortaleza: proprio in Brasile sono sorti i presupposti per trattare le tematiche che vennero poi messe nero su bianco un anno dopo ad Ufa, in Russia, dove Vladimir Putin ben pensò di organizzare la riunione dei Paesi Brics congiuntamente a quella dello Sco, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai.
Questo decimo summit si è svolto sotto la pesante ombra delle guerre commerciali in corso tra i principali attori internazionali: ogni riferimento ai dazi voluti da Donald Trump nei confronti della Cina non è casuale. Prevedibilmente, l’agenda è stata condizionata dal progressivo deteriorarsi delle relazioni commerciali intorno al globo. Al summit sono presenti anche esponenti di diversi Paesi africani, nonché il presidente turco Erdogan. Il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Johannesburg dopo aver fatto tappa a Dakar: prosegue l’opera di investimenti nel continente africano, dal momento che il Senegal sarà il primo Paese con sbocco sull’Atlantico a partecipare in qualità di terminale strategico all’ambizioso progetto cinese della Silk Road. L’Africa ed il suo sviluppo sostenibile sembrano essere gli assoluti protagonisti, nonché l’oggetto delle sempre più insistenti attenzioni di Cina ed India. Anche il presidente indiano Narendra Modiha visitato il Ruanda insieme, ma separatamente, al suo omologo cinese: la consolidata opposizione Pechino-New Delhi sembra confermarsi anche in Africa, dove l’India sembra perseguire il chiaro obiettivo di bilanciare la massiccia presenza cinese nella regione. Per Sudafrica e Brasile, il meeting rappresenta un’occasione per tentare di attingere ai fondi di sviluppo istituiti nel 2014 dalla piattaforma, considerate le numerose problematiche economico-sociali affrontate dai due Paesi. La Russia supervisiona la seduta avendo poco da offrire dal punto di vista economico, ma conscia del proprio tornaconto da un punto di vista strategico: il gruppo Brics, seppur con tutte le sue pecche, rappresenta un tassello fondamentale della struttura multipolare ancora in formazione, ma comunque tanto cara al Cremlino.
È opportuno ricordare che, da un punto di vista strettamente statistico, i Brics hanno dalla loro l’imponenza dei numeri: i cinque Paesi costituiscono l 41% della popolazione mondiale, meno del 30% del territorio, nonché il 23% circa dell’intero Pil mondiale, per una cifra che equivale indicativamente a 40,6 trilioni di dollari americani. I Paesi più prestanti dal punto di vista della crescita economica sono senz’altro l’India e la Cina, più indietro Russia, Brasile e Sudafrica. Proprio la discontinuità territoriale, la sproporzione economica ed i diversi interessi strategici dei cinque Paesi in ballo hanno sempre instillato più di un dubbio negli analisti riguardo all’effettiva capacità dei Brics di portare a termine un progetto di finanziamento, sviluppo e riqualificazione economica davvero speculare ai classici sistemi promossi dall’Occidente. Al momento, il Brics sembra essere un “gigante economico”, ma un “nano” da un punto di vista politico, essendo le prerogative dei cinque Paesi ancora troppo poco amalgamabili. Da un punto di vista strettamente simbolico, però, il summit di Johannesburg ha una valenza ben precisa: di fronte al progressivo sfaldarsi dei classici rapporti di alleanza occidentali (tra Usa ed Ue nonché all’interno del blocco Nato), l’Oriente e le forze alternative al dominio unipolare statunitense sul mondo sembrano aver imparato bene la lezione, riuscendo ad approfittare a pieno sia della forza del “dialogo”, sia di un certo “libero mercato”, nonché del concetto di“multilateralità” al fine di ricavarne tangibili benefici in termini sia economici che politici.