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L'inizio della nuova alleanza

Accordi e disaccordi. Intese e distonie. Come se fossero sopra un’altalena, o sulle montagne russe, Movimento 5 Stelle e Pd stanno arrivando all’appuntamento con il Quirinale mandando in scena un gioco di alti e bassi come poche volte è stato dato di vedere nella storia repubblicana. E se la formazione creata da Casaleggio, e eterodiretta da Beppe Grillo, è un pendolo da quando è nato, appare quanto mai strano il percorso del Pd, sino a ieri fustigatore dei costumi grillini, oggi assertore della necessità di assicurare un governo al Paese, comunque vada e a qualunque costo. L’incontro di lunedì sera a Palazzo Chigi, l’ennesimo di una lunga serie, altro non è stato che la rappresentazione plastica di tutto ciò. Più di due ore non è qualcosa di inconsistente o interlocutorio. E’ l’inizio della nuova alleanza, dunque della fine della crisi.

Pur con la consapevolezza di contraddire la volontà popolare, la maggioranza degli italiani, (almeno così sosterebbero alcuni sondaggi) della quale vorrebbe andare al voto, ma tenendo saldamente fede alle proprie necessità elettorali, Pd e 5 Stelle hanno finalmente trovato un accordo di massima. Che potrebbe aprire la strada al governo giallorosso. Attorno allo stesso tavolo Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Giuseppe Conte e Andrea Orlando. Ed è proprio la presenza del premier in carica a dare un segnale tangibile agli analisti. Se l’avvocato degli italiani sino a ieri era il problema ed oggi, tutto ad un tratto, è la risorsa, significa che l’elemento per trovare la quadra è la collocazione dei nomi nelle caselle giuste. Magari un solo premier e non due, come è stato sino ad oggi, dando per scontato il fatto che Conte venga considerato un grillino e non un soggetto terzo. E poi chissà, il Viminale ad un esponente del Pd, come vorrebbero tanto al Nazareno, a partire da Dario Franceschini. Senza escludere un accordo sulle prossime elezioni amministrative e sulle giunte grilline in corso, a partire da Roma.

Tasselli, caselle importanti, forse non fondamentali ma sicuramente elementi di discussione e riflessione. Perché quello che uscirà da questo strano giro di valzer è sicuramente un governo politico, ben poco istituzionale, dove le tensioni indurranno i soggetti in campo a tenere sempre altra la guardia. Impossibile pensare di cedere un millimetro all’avversario anche se socio. Il dato inequivocavile, del resto, è l’affezione dei grillini per Palazzo Chigi. La scoperta del potere è sempre straniante, per chiunque. E’ successo a Renzi, non è stato da meno Salvini e ora tocca alla maggioranza giallorossa. Solo la prova dei fatti ci sarà dove sta la verità. E, ovviamente, Mattarella terrà sempre in mano il termometro, nella consapevolezza che la febbre può sempre salire all’improvviso. Per capirlo basta provare a decifrare ciò che sta a margine di questi vertici pre consultazioni. La Tav, per esempio. Un tema che diviso M5s e Lega, ma che fa discutere giù anche pentastellati e dem.

Il Pd vorrebbe un proprio esponente al dicastero delle Infrastrutture (il nome che gira è quello della vicesegretaria Paola De Micheli che però potrebbe anche andare allo Sviluppo Economico) mentre il Movimento 5 stelle propone l’attuale capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli. Sciolto il nodo sul premier – confermata la permanenza di Conte a palazzo Chigi – rimangono diverse caselle ancora da riempire. Tra queste il Mef: dovrebbe andare al Pd, ma non sarebbe stato ancora deciso se verrà fatto il nome di Pier Carlo Padoan o quello di Antonio Misiani. Qualche 'chances' anche per Tria. Vicepremier unico dovrebbe essere Andrea Orlando mentre Luigi Di Maio dovrebbe rimanere ministro (per lui ipotesi Viminale o dicastero del Lavoro). Paolo Gentiloni favorito per gli Esteri mentre per M5s dovrebbero rimanere Giulia Grillo, Riccardo Fraccaro e probabilmente Alfonso Bonafede, anche se alla Giustizia non è escluso che vada l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso. Il premier dimissionario Giuseppe Conte, stando a fonti parlamentari, vorrebbe indicare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e avere voce in capitolo sul programma. Conte avrebbe dato rassicurazioni su alcuni decreti – in primis quello sulla sicurezza – che i dem vorrebbero rivedere e sulla possibilità di una convergenza sulla legge di bilancio.

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