Gli anziani devono essere considerati come risorsa attiva e protagonisti a pieno titolo della vita delle comunità, con una crescente attitudine alla partecipazione sociale. Le ultime statistiche in merito, hanno evidenziato che oltre il 36% dei volontari italiani ha più di sessant’anni d’età. Da ciò si desume che, coloro che si trovano a vivere la Terza Età, possiedono notevoli risorse ed opportunità e, in conseguenza di ciò, sono capaci di giocare un ruolo specifico e inedito a livello relazionale e sociale. Questi dati ci mettono di fronte al fatto che, il volontariato, anche quando è svolto in età avanzata, porta ad indubbi benefici nella vita di chi lo pratica. Mi riferisco soprattutto ad un incremento del benessere soggettivo, arricchendo la rete di relazioni sociali e la coesione delle comunità grazie al quale, la società nel suo complesso, si evolve ed è più attenta ai bisogni emergenti.
Quanto precedentemente detto, ci porta a riflettere in merito all’importanza del cosiddetto “invecchiamento attivo”, il quale costituisce un principio imprescindibile per qualificare e dare ulteriore valore a quelle attitudini morali e umane acquisite durante tutto l’arco della vita e che, attraverso le attività di volontariato più disparate, trovano una nuova e proficua dimensione di applicazione volta ad un accrescimento generale del bene comune. Tutto ciò deve farci riflettere: di fronte a una solitudine sempre più diffusa delle persone anziane, il volontariato, può e deve rappresentare un argine efficace e duraturo, fornendo gli strumenti di coesione e fraternità necessari. Questo significa che, ognuno di noi, indipendentemente dalle posizioni che ricopre, deve porsi il compito di promuovere il volontariato come strumento fondamentale per la fattiva realizzazione del principio di partecipazione democratica alla vita delle comunità in cui, gli anziani, possono e potranno fare molto per consegnare alle giovani generazioni un futuro migliore.