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L’immigrazione è donna

liliana_ocmin-150x150E’ fresco di stampa il Report dell’Istat sulle Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente. Un documento che, grazie alle dinamiche della ricerca demografica, riesce a fornire un quadro interessante di quello che sta accadendo nel nostro Paese e di quali effetti la crisi produca sul movimento delle persone. I due dati principali, che emergono dal Report, riguardano la diminuzione delle migrazione dall’estero in direzione dell’Italia (circa il 12% in meno) e la crescita dell’emigrazione italiana verso altri paesi che coinvolge prevalentemente giovani laureati e, più in generale, persone comprese tra i 20 e i 45 anni. Si tratta di valori che confermano l’esistenza di una ricaduta demografica della crisi economica e sociale che vive il Paese. L’oggettività dei numeri, infatti, restituisce lo scenario di un’Italia in grave difficoltà e che, quindi, ha smesso di essere attrattiva.

E paradossalmente, mai come in questo momento cruciale, l’immigrazione si caratterizza come fenomeno compensativo, capace di generare un differenziale positivo rispetto al trend del saldo naturale. E’ invece in crescita di circa il 14% il dato relativo all’emigrazione degli italiani verso altri paesi, come Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia e Stati Uniti. Come scrive l’Istat “nell’insieme i trasferimenti con l’estero riguardano in prevalenza le donne, se si guarda agli stranieri, mentre coinvolgono in prevalenza gli uomini, se si guarda agli italiani”. Una realtà demografica che, complessivamente, si presta anche a una lettura di genere, perché la crisi economica e produttiva sembra aver bloccato i flussi di immigrazione maschile, mentre restano sostanzialmente intatte le possibilità legate “all’immigrazione di cura”, ossia quelle principalmente connesse all’attività delle badanti e in generale all’assistenza domiciliare non infermieristica. Incrociando il trend dell’immigrazione straniera con quello dell’emigrazione italiana emerge un quadro di tendenza che sembra delineare un lieve processo di femminilizzazione della società che può contribuire a ricostruire quelle coesione e integrazione sociale di cui un Paese in crisi di identità e di morale ha bisogno come l’aria.

I decisori politici e istituzionali, nelle loro scelte sempre più inderogabili, non possono non considerare la fotografia che emerge da questa ricerca dell’Istat e coglierne tutte le potenzialità. Una prevalenza di immigrazione femminile rappresenta, innanzitutto, un valido sostegno nella costruzione di ipotesi di conciliazione possibile tra vita privata e lavoro. Il rilancio dell’economia italiana e il clima sociale non possono più prescindere da un massiccio accesso delle donne nel mondo del lavoro e dal superamento di quel bivio che, spesso, costringe la donna a lasciare il proprio impiego per potersi dedicare alle attività di cura, alla maternità, ai figli. Il tutto in un contesto dove è carente l’offerta di servizi alla famiglia e dove le possibilità di conciliazione sono spesso delegate alle risorse e all’energia del Welfare familiare.

Ma la presenza di donne immigrate può essere utile anche in termini di integrazione sociale, ossia per ricostruire il profilo di un Paese che vuole tornare ad essere vivibile, che punta a ricostruire una linea di benessere diffuso, che sente il peso di un destino che deve essere migliore del presente che viviamo. In questo quadro la funzione stabilizzatrice delle donne può giocare un ruolo decisivo, perché un Paese che ritrova le fila di se stesso è sicuramente in grado di ricominciare ad attrarre e di fermare quella fuga di cervelli che emigrano per trovare altrove una possibilità e qualche scampolo di futuro smarrito.

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