Ci sono più motivazioni che spingono i governanti a non affrontare il tema annoso delle tasse; anzi ad aumentarle, quando devono stilare il documento di politica economica e finanziaria. In primo luogo non vogliono sfidare i sindaci e presidenti delle regioni, loro grandi elettori, che nel caso tagli, sono i primi a dover mettere in conto una revisione dei loro programmi. L'altro motivo è che gli esecutivi, a quel punto, dovrebbero sobbarcarsi problemi complicati, riguardanti le politiche di crescita derivanti dalle produzioni industriali e dei servizi.
Molto più agevole è promettere provvidenze al proprio elettorato di riferimento; magari raschiando il barile delle risorse pubbliche, sempre più precarie. Insomma la motivazione del disagio che viviamo va attribuita alla distorsione, avvenuta nel tempo, del ruolo e responsabilità del governante e dunque della politica in Italia. Questa situazione denota problemi nella rappresentanza e gravi criticità nella gestione economica. Sarebbe il caso di urlare, al pari dei coloni di Boston, contro il governo: “No taxation, without representation”. Ma quei coloni “del nuovo mondo” erano a 6.500 km dalla madre patria, mentre noi la classe dirigente ce l'abbiamo a Roma.
Non è un caso se l'Italia, da molti anni, ha un punto di pil in meno rispetto ad altri Paesi europei. Continuiamo a usare le risorse pubbliche non per fare investimenti in sviluppo e riassorbire il debito, ma per distribuirle a casaccio. Quando una nazione soffre per la disoccupazione a causa della propria economia anemica, la prima preoccupazione che l’assale, è quella di stimolare i privati a spendere ed investire di più. Lo si dovrebbe sapere che le imprese, nel mercato globale, fuggono dai territori costosi, alla ricerca di vantaggi altrove.
Proprio in questi giorni, abbiamo avuto una dimostrazione plastica di quanto vero sia questo assunto. Il Governo, come è noto, ha deciso di aumentare le tasse sugli autoveicoli diesel e a benzina? Ebbene, dopo poche ore, la Fca, ritenendosi danneggiata, ha fatto sapere che per tale ragione intende rinunciare ad investire 5 miliardi in Italia, con l’implicita intenzione di farlo in luoghi più convenienti. Se le famiglie, poi, vengono gravate da nuove gabelle degli enti locali – che tornano ad essere liberi di tassare a proprio piacimento i cittadini con addizionali e pesi sulle case, come ha deciso il Governo – il risultato sarà meno consumi interni. Allo stesso modo il costo del carburante continua a salire, non per il rialzo del costo del barile, o della raffinazione, o della distribuzione, ma per le accise, che si sommano costantemente a prescindere dalle fluttuazioni dei prezzi. Queste circostanze, e tante altre, hanno determinato un asfittico mercato interno di consumi senza precedenti.
Anche i lavoratori dipendenti sono tartassati. Se mettiamo a confronto le nostre buste paga, con quelle statunitensi, impallidiamo. Facciamo un esempio: un lavoratore italiano che guadagna 35 mila euro lordi l’anno, ne riscuote netti 25 mila; mentre uno statunitense, per la stessa somma lorda, ne prende ben 31.500. I nostri pensionati poi pagano le tasse come i lavoratori attivi, cosa che non avviene in altri Paesi. Ecco perché la Flat Tax è la cartina di tornasole per avviare una buona economia con più consumi e più imprese nostrane ed estere interessate ad investire in casa nostra. Non può sfuggire alle persone attente: chi decide di adottare politiche virtuose contro la mortificante e costosa pratica di promesse irresponsabili e demagogiche, riconduce la democrazia nel letto del fiume della normalità.
Non c’è alternativa alla drastica riduzione di pesi fiscali a favore di famiglie ed imprese; chi intenderà davvero prendere in mano questa bandiera, farà una cosa santa per la Nazione, ma costruirà anche una classe dirigente duratura, in grado di scavalcare gli ostacoli della suggestione del facile consenso su cose futili, di saper coniugare leadership e capacità di attraversare terreni impervi. Sono convinto che questo tempo è vicino, non fosse altro per la sempre puntuale, ed inesorabile legge del contrappasso: i tanti errori commessi, come sanzione, producono le premesse per politiche inverse. La speranza è che ci sia già oggi, chi saprà guidare questo cambiamento imminente. Diversamente ci sarà sicuramente qualcun’altro che lo farà dopo, a ragione di una condizione di asfissia economica e sociale prodotta dalla idrovora fiscale.