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Liberazione: 76 anni dopo, un ricordo ancora attuale

Il 25 aprile 1945, Milano festeggiò con una grande manifestazione di piazza l’espulsione dei fascisti e dei nazisti dalla città e, insieme, la fine della guerra. Da allora, in questo giorno, ogni anno si fa memoria della Liberazione. E ogni volta non mancano riserve, prese di distanza o polemiche, piccole o grandi. E’ proprio questo che continua a rendere attuale e importante il ricordo della Liberazione del nazi-fascista: a settantasei anni di distanza non è ancora una memoria scontata, e celebrarla impone ancora una volta un impegno per ripensarla, ricomprenderla e, possibilmente, rilanciarla. Eppure la fine dell’occupazione nazi-fascista in Italia è stata davvero una liberazione. Per tutti. Compresi gli stessi fascisti.

Nessuno può negare, infatti, che il fascismo sia stato strettamente legato alla violenza. Che Mussolini sia stato il mandante politico-morale dell’assassinio di Giacomo Matteotti e di altri antifascisti. Che il fascismo abbia adottato le leggi razziali e collaborato allo sterminio degli ebrei. Che il regime abbia fatto entrare l’Italia in una guerra dalla parte sbagliata e l’abbia resa responsabile di una tragedia mondiale. Che la classe dirigente fascista abbia dato prova di grande miseria morale e politica nella gestione della guerra…

Quando si ricordano queste cose, però, c’è sempre qualcuno che dice: ma i fascisti hanno fatto anche cose buone, ma gli “altri” hanno fatto di peggio, ma era il clima dell’epoca… Ovviamente, questi e altri commenti non attenuano in nulla l’enorme responsabilità del fascismo in tante forme di violenza. Sono tutti modi per giustificarla indirettamente. Perciò tali commenti, apparentemente innocui, sono inaccettabili.

Dopo tanti anni, la mancanza di chiarezza sulla questione fondamentale del rapporto tra fascismo e violenza non è casuale. Gli italiani, tutti noi, non abbiamo fatto davvero i conti con il fascismo, soprattutto per quanto riguarda questo problema cruciale. Ci siamo nascosti dietro l’immagine autoconsolatoria di “italiani, brava gente”, invocando comportamenti degli italiani in guerra diversi da quelli tedeschi, metodi meno oppressivi usati in campo coloniale, tanti giusti che hanno salvato gli ebrei anche a rischio della vita… Questi fatti sono (in parte) veri come corrisponde (in parte) alla realtà che spesso in situazioni difficili gli italiani abbiano mostrato capacità di comprensione, flessibilità, ricerca di soluzioni condivise, disponibilità al compromesso ecc. Non sono cose da poco.

Ma l’immagine degli “italiani brava gente” non può e non deve diventare un alibi per negare, rimuovere o nascondere responsabilità gravi, quando queste ci sono. E con il fascismo ci sono state. Basta ricordare la strage di Debra Libanòs, in Etiopia, quando, in risposta all’attentato al viceré Rodolfo Graziani, gli italiani hanno trucidato migliaia di monaci e di fedeli cristiani copti del tutto innocenti. E’ stato il più grave crimine di guerra compiuto dall’esercito italiano dall’Unità ad oggi.

Non fa male a nessuno riconoscere apertamente le proprie colpe. Anzi, aiuta a non commetterle più e ad essere migliori. Sotto questo profilo, i tedeschi costituiscono un esempio ammirevole. Ancora oggi, in ogni occasione pubblica, autorità dello stato, uomini politici, intellettuali e tanti altri riconoscono apertamente le colpe del nazismo e non fanno nulla per nasconderle o per attenuarle. C’è molto da imparare. Questa onestà pubblica è, tra l’altro, un‘arma molto efficace per combattere lo “spirito del fascismo” che è ancora tra noi.

Il fascismo, infatti, non è scomparso. Ancora oggi assistiamo a forme di ricorso alla violenza generate dal mix fascista costituito dalla legge del più forte, dall’oppressione sui deboli, dal machismo, dal razzismo, dall’antisemitismo, da suprematismo bianco o da altre forme di suprematismo… Lo vediamo anche in questi giorni, nei pestaggi di ragazzi più deboli nei dintorni di Roma, in giustificazioni facili della violenza contro le donne, nell’indifferenza o nell’odio verso gli stranieri e gli immigrati… Tutto questo fa parte di una corrente sotterranea che in Italia continua a scorrere anche oggi. Fa parte del fascismo italiano, che non è scomparso settantasei anni fa ma è ancora presente. Festeggiare la Liberazione significa anche prendere le distanze, oggi, da tutto questo.

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