Le polemiche sui vaccini non si spengono. Le misure urgenti che vengono adottate per tutelare la salute della popolazione e per consentire la ripartenza del paese non sono senza costi sociali e psicologici importanti a cui le persone fanno fatica ad adattarsi. Non è facile riuscire ad armonizzare le diverse esigenze ed emergenze generate dall’andamento dei contagi da Covid-19 con i vissuti e le esigenze di ciascuna persona.
Non è facile governare un Paese, e la cosa diventa più complicata quando bisogna indicare e tenere la rotta durante una emergenza ed emanare misure che comportano sacrifici particolari per tutti, che non trovano consenso e generano malumori.
La questione dei vaccini è una di queste misure: auspicati e attesi nelle prime ondate del Covid, contestati e ostacolati da alcune frange di popolazione quando ne fu autorizzato l’uso nella scorsa primavera. Il bombardamento mediatico e i commenti che si leggono sui social a proposito dei vaccini amplificano la portata delle notizie, spesso le inquinano, e le paure invece che ridimensionarsi tendono a crescere. Le reazioni che tale situazione produce tendono a polarizzare le posizioni tra chi fa prevalere il buon senso e il bene comune, e chi è più refrattario ad accogliere le indicazioni delle istituzioni, tra chi si fa carico di sottoporsi ai vaccini e chi invece li combatte. Scelte che generano tensioni ed alzano muri che non aiutano il confronto. La ripresa delle attività quotidiane e lavorative, il ritorno alla “normalità” richiede invece un Paese coeso nel combattere i contagi.
La questione dei vaccini ha generato nelle famiglie situazioni assurde ed imbarazzanti, fonte di disagio per chi ne è coinvolto: amici di lunga data o parenti stretti che conosciamo da una vita, improvvisamente li troviamo schierati su un fronte di irriducibili. Chi lo racconta non si capacita, non ne comprende la radicalizzazione delle posizioni, e la prima conseguenza che genera è il congelamento delle relazioni.
Questa pandemia ci sta insegnando una cosa importante, che nessuno si salva da solo, che la nostra vita (anche se non lo vogliamo) è connessa con il resto del mondo e che ne possiamo uscire solo tutti insieme. Lo abbiamo annunciato con uno slogan dai balconi nella primavera di 2 anni fa con quel “Ce la faremo”.
La lezione dei vaccini sta nella vittoria del “noi” sulla prepotenza dell’”io”, sul farsi carico tutti insieme di questo tempo e di prodigarsi per dare ciascuno il proprio contributo per uscire dalla pandemia. Facile a dirsi e difficile a farsi. Ragionare in termini di “noi” è scomodo, ci costringe ad uscire dalle nostre comfort zone ad andare verso, ad affrontare incognite. E’ dinamismo vs immobilismo. E per indole a nessuno piace cambiare se non ci è costretto, troverà mille motivi per desistere.
Questa pandemia ci sta insegnando che coltivare solo il proprio orticello non è la soluzione. La paura non può avere la meglio sul futuro. Ce lo ricorda Papa Francesco parlando dei vaccini come di un atto di amore disinteressato, come di un modo semplice ma profondo di promuovere il bene comune e di prenderci cura gli uni degli altri. Ce lo ripete spesso il Presidente del Consiglio Draghi: bisogna intervenire a livello globale, far sì che anche ai paesi più poveri sia consentito l’accesso ai vaccini.
In questa battaglia contro il Covid non abbiamo armi sicure al cento per cento che ci garantiscano di uscirne, né una sperimentazione consolidata, ma possiamo contare sul fatto che portiamo avanti questa battaglia insieme, prendendoci cura gli uni degli altri. Come stanno facendo i tanti medici e operatori sanitari che da ben 2 anni senza sosta sono per noi al fronte e cercano di salvare più vite possibili e di studiare le migliori soluzioni terapeutiche. La solidarietà con chi sta al fronte è già una vittoria.