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La lezione magistrale di Gesù su come risolvere i conflitti

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Spesso nella vita rimangono le cose da sistemare. Abbiamo litigato. Abbiamo detto troppe parole. Abbiamo sbagliato facendo torto a qualcuno. Abbiamo tradito. La vita va avanti, ma le ferite nei rapporti rimangono spesso troppo profonde, difficili da guarire. Ci vergogniamo, abbiamo paura, siamo traumatizzati. Non sappiamo come sistemare nel modo migliore le cose che dovrebbero essere sistemate per forza.

Tale era proprio la situazione tra Gesù e i suoi apostoli dopo la Risurrezione. Sono fuggiti. Lo hanno tradito, lasciato da solo. Non si ricordavano delle sue parole. Volevano tornare alla vita che conducevano prima dell’incontro con Lui.

Tuttavia Gesù, con tanta comprensione e pazienza prende su di sé lo sforzo di sistemare il loro rapporto quasi rovinato. Qui risulta ancora più pedagogico che durante la sua vita terrena, quando doveva introdurre i suoi discepoli nei misteri e nella missione del Regno di Dio. La sua pazienza, intelligenza, prudenza ma anche creatività sono esemplari. Potrebbero essere una lezione magistrale su come risolvere i conflitti più problematici e vergognosi.

La descrizione del momento, forse decisivo, di questo processo, la troviamo nell’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni. È un testo da meditare senza fine. Ne osserviamo due motivi: il primo – l’ambiente: dell’aria aperta, la terra conosciuta, dove tutto ha avuto il suo inizio. I luoghi hanno la loro memoria e il loro significato. Sono i testimoni delle nostre vicende, i compagni silenziosi dei movimenti più intimi dei nostri cuori. Il Mare di Tiberìade è infatti un lago, non troppo grande, ma pittoresco, con la sua aria bella, delicata e serena nella quale gioca la luce del sole e la brezza del vento, sotto le nuvole leggere accarezzate dall’azzurro innocente del cielo. Gli alberi, i fiori delle rive aggiungono un’atmosfera di freschezza, incanto ed entusiasmo. Così tutto sembra positivo e buono. Le cose brutte e dolorose sembrano appartenere ad un altro mondo. Forse per questo Gesù sceglie questo luogo cioè per imprimere, collaborando con esso, il sigillo di una nuova apertura sulla vita dei suoi apostoli – confermando, nello stesso tempo, tutto ciò che era iniziato con tanta fatica.

Il secondo motivo che incontriamo è il dialogo con Pietro, il protagonista e il più grande colpevole. Gesù continua il suo lavoro pedagogico con lui, dando seguito al dialogo del Giovedì Santo del cenacolo e la scena memorabile della negazione avvenuta qualche ora dopo. Non sappiamo se Pietro abbia capito l’intenzione del Signore. Come sempre rimane impulsivo ed appassionato, troppo veloce e poco profondo. Non si scusa. Non si sente colpevole. Di nuovo, come prima, vuole essere bravo. E anche adesso non capisce bene le intenzioni di Gesù.

Questo dettaglio è molto interessante: Gesù gli chiede “mi ami?” E lui risponde, senza esitazione: “ti voglio bene”. Sembra poca differenza, però assai significativa. Gesù ripete la domanda – come se volesse ricevere la risposta esatta, sul livello da cui ha parlato. Pietro ripete la sua risposta diversa dall’intenzioni di Gesù. Non vede differenza, non capisce. Solo quando arriva la terza domanda – nella quale Gesù si adatta a Pietro, abbassandosi al suo livello – Pietro rimane addolorato. Sembra non capire la ragione per cui gli viene rivolta la stessa domanda per tre volte. Non sappiamo se colleghi questo fatto con la sua negazione triplice.

Probabilmente non nota il cambio fatto da Gesù nella sua terza domanda. Voleva essere bravo, come sempre ma qualcosa non va. E Gesù lascia stare la cosa. Non si aspetta più la piena comprensione di Pietro. Rimane sul suo livello. Non aspetta nessuna scusa. Sicuramente sapeva bene che cosa stava accadendo nel cuore del Principe degli Apostoli. Sapeva che sarebbe bastato questo impulso – qui, sul mare di di Tiberìade, in questa splendida aura primaverile. Bastava forse un tocco – delicato ma decisivo a dare inizio ad un processo più profondo. Il resto avrebbe dovuto essere compiuto più tardi, al tempo giusto, nel corso della vita di Pietro.

padre Bernard Sawicki: