Qualche giorno fa il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge relativo al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e al bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 unitamente all’aggiornamento del Documento Programmatico di Bilancio, quello che comunemente va sotto il nome di “legge finanziaria”.
Prima di analizzarla occorre dare atto al neo-insediato Governo Meloni di essere riuscito a portare a terra un DDL in tempi molto rapidi, segno che le idee all’interno della coalizione di centrodestra fossero chiare e condivise fin da prima delle elezioni, e in un periodo turbolento mostrando anche un certo coraggio nelle decisioni da intraprendere per fronteggiare i mesi, tutt’altro che facili, che attenderanno l’intero Paese il prossimo anno.
Come già indicato, qualche settimana fa, parlando della NADEF la manovra è nata sotto i peggiori auspici, al di là dei gufi che, da sempre, popolano una certa opposizione, poiché dopo due anni di crisi pandemica e con una recessione incombente a seguito degli ultimi eventi bellici la coperta è assai corta e le risorse finanziarie da utilizzare sono quelle che sono.
Nessuno può negare che la finanza pubblica non sia in buone acque, l’alto debito pubblico e il costo della macchina statale sono stati gravati da alcuni provvedimenti dei passati governi, diciamo, discutibili e dal sostegno all’economia durante gli anni di pandemia ma un segno di ripartenza del sistema lo si è visto con l’aumento del gettito fiscale che, non avendo toccato nessuna aliquota se non al ribasso (su accise e oneri di sistema per contrastare il caro energia), significa solo che l’Italia sia cresciuta più del preventivato e che la base imponibile si sia così allargata e da qui anche i maggiori introiti per le casse statali.
Questo potrebbe avere anche un impatto importante dal lato del calcolo della pressione fiscale 2022, visto che nel 2021, nonostante non fosse stata introdotta alcuna nuova imposta, questa era cresciuta dal 42,8% del 2020 al 43,5%, perché pesano le lump sum tax, ovviamente, e le imposte patrimoniali su un calo vistoso del PIL dovuto principalmente ai goffi e ideologici tentativi di limitare i contagi tramite serrate e blocchi di settori economici portati avanti dal Governo Conte, e ora questo parametro potrebbe iniziare a scendere portando sicuramente una ventata di ottimismo sulle aspettative degli operatori economici e sui futuri investimenti nel Paese.
In questo contesto nasce la nuova finanziaria che dal lato delle risorse messe in campo sembra muoversi nel perfetto solco di quelle degli ultimi anni con la particolarità che la maggior parte dei fondi è rivolta al contrasto del cosiddetto “carobollette” che arrivano a circa 21mld, rappresentando circa i due terzi della manovra.
A tutti gli effetti questo punto è il nodo di tutta l’opera prima del Governo Meloni dovendo evitare che i redditi degli italiani siano falcidiati dalle bollette energetiche e garantire la sopravvivenza al comparto produttivo che potrebbe essere messo in ginocchio dalla crescita dei prezzi sia del gas sia dell’energia elettrica. A tal proposito fino a maggio 2023 viene innalzato del 5% il credito di imposta, dal 30% a 35% per bar, ristoranti ed esercizi commerciali e dal 40% al 45% per le imprese energivore. Contemporaneamente all’eliminazione degli oneri impropri delle bollette viene innalzato a 15’000 il limite ISEE per ricevere il “bonus sociale” sulle bollette (quindi, diciamolo, un livello più facilmente raggiungibile da una famiglia con un reddito medio e un mutuo acceso per la prima casa) e ridotto lo sconto sulle accise del carburante da 30,5 centesimi a 18,3 centesimi. Quest’ultima decisione è stata contestata da diversi fronti ma ha una sua logica nel gioco di bilancini per mettere insieme la manovra. Il petrolio, infatti, è sceso dai 122 dollari circa al barile di giugno (considerando il Brent che è l’indice utilizzato per l’Europa) agli 84 dollari circa di oggi, con un calo di oltre il 30% con un quadro tecnico ribassista e, quindi, ha un senso ridurre lo sconto su un prezzo che dovrebbe essere in calo nei prossimi mesi soprattutto in scia al ventilato aumento della produzione petrolifera da parte dei paesi OPEC. Tutto questo senza voler dare un giudizio sul mantenimento dell’accisa che, in quanto fissa, rappresenta una componente fiscale regressiva su cui, tra l’altro, viene applicata un’ulteriore imposta sulla tassa che è l’IVA ma che rappresenta, alla fine, solo il 5% del gettito fiscale in totale e che, a voler vedere, non sarebbe così azzardato, ipotizzarne un’abolizione quando, però, la situazione si sarà normalizzata.
Tornando alle previsioni della manovra, però, è interessante notare che siano stati introdotti alcuni provvedimenti, come l’abbassamento dell’IVA sui prodotti per l’infanzia e per l’igiene femminile, una maggiorazione dell’assegno unico per le famiglie numerose e l’istituzione di un fondo, che sarà gestito dai comuni, per sostenere l’acquisto dei beni di prima necessità per i redditi più bassi, che sono stati per tanto tempo delle battaglie di alcune frange del centro-sinistra e che, per vederne la realizzazione, si sia dovuto aspettare un governo di destra-centro (definiamolo così).
Arriviamo, ora, ai punti più sentiti, solitamente, quando si parla di Legge di Bilancio: imposte, pensioni e agevolazioni fiscali.
Sul primo argomento, quelle delle imposte, non si segnala alcuna nuova tassa, salvo l’aumento delle accise su tabacchi dal 2023 che comporterà un aumento medio di circa 20 centesimi a pacchetto, però questo va ad accompagnarsi a delle misure molto interessanti quali l’estensione del regime forfettario per le partite IVA a 85’000 euro annui, e la detassazione al 5% dei premi di produttività fino a 3’000 euro annui per i lavoratori dipendenti; resta da vedere se verrà, poi, riconosciuta anche per l’anno prossimo la non imponibilità fino a 3’000 euro, come per questo 2022 da Decreto Aiuti quater, dei cosiddetti fringe benefit che significherebbe la possibilità di ottenere un aumento reale dei redditi per questi ultimi.
Sono rinviate di un anno, poi, due delle imposte più contestate e ideologiche pensate durante la scorsa legislatura ma che non avevano ancora visto l’attuazione: la plastic tax, sulle confezioni in materiale plastico, e la sugar tax, sugli alimenti e le bibite zuccherate. L’intenzione è quella di cancellare completamente questi due balzelli che avrebbero potuto avere delle ricadute serie sull’industria italiana, purtroppo, nonostante un gettito stimato di “soli” 650 milioni, non è stato possibile eliminarle subito per una questione tecnica ma, credibilmente, trovate le coperture per evitare che i saldi tendenziali di finanza pubblica possano sballare con la loro abolizione questa sarà inserita nella prossima manovra 2024.
Sulle pensioni si va verso la cosiddetta “quota 103” (62 anni di età e 41 anni di contributi minimi) con delle modifiche sull’”opzione donna” e sull’APE sociale per i lavori usuranti. Il Reddito di Cittadinanza, invece, viene ridotto a 8 mensilità massime (dalle 18 rinnovabili precedenti) e con la previsione della frequentazione per un semestre di corsi di formazione o professionalizzanti. Sul punto si scaglia la dura contestazione del Movimento 5 Stelle, guidato dall’ex Premier Conte, che ne ha sempre fatto la sua bandiera ma l’abolizione di questo istituto era nel programma della coalizione di centro-destra e la sua rimodulazione è il primo passo per arrivare al suo smantellamento.
Volendo vedere, però, una sorta di sussidio universale per chi si trovi escluso dal mondo del lavoro non è affatto un’assurdità populistica, anzi perfino economisti di provata fede “liberista” come Friedman o Hayek ne avevano ipotizzato uno nelle loro opere perché è un presidio di tutela per le fasce più deboli e di stabilizzazione della società. Certo è che l’istituto creato durante il governo Giallo-Verde ha dimostrato di non essere minimamente efficiente e di prestarsi a gravi distorsioni ma una soluzione alternativa andrebbe studiata e applicata, magari sul modello dell’assistenza elvetica o tedesca se non su quello della flex-security danese.
Detrazioni, parliamo del maxi-bonus 110%. Come più volte indicato da gennaio passerà al 90% e la concessione sarà subordinata a precisi requisiti reddituali del nucleo famigliare richiedente; non si tratta, però, di una mera questione di saldi finanziari ma anche di efficienza di mercato. La concessione di una detrazione superiore ai costi sostenuti per l’efficientamento energetico o la messa in sicurezza, a livello sismico, degli immobili ha “drogato” il mercato spingendo i costi delle materie prime e della componentistica verso l’alto in maniera eccessiva (a titolo di esempio l’EPS per l’isolamento termico è passato da un intervallo tra 8 e 15 euro al mq a 64-75 euro a mq mentre in Francia, complice lo shock inflazionistico di quest’anno, è arrivato a 25 euro al mq) e riducendolo “sotto la pari” permetterà di rientrare in un percorso di normalizzazione dei prezzi.
Tra le altre previsioni “minori” va segnalata anche il contestatissimo aumento del limite dei contanti a 5’000 euro dai 1’000 previsti fino ad oggi. In verità si tratta più di una questione di bandiera poiché spese di quell’importo non sono così comuni come una certa vulgata vuol far credere, legandole al fenomeno dell’evasione fiscale. Il punto è che la lotta al contante non va a colpire i reati fiscali perché, per natura, si farebbero anche con limiti di spesa più bassi (non venendo dichiarati) e potrebbero essere agevolmente spesi in altro modo, anche “smaterializzandoli” utilizzando delle carte di debito ricaricabili e anonime regolarmente vendute oltreconfine.
Resta il fatto, però, che l’evasione fiscale italiana non sia così differente da quella stimata in altri stati e, soprattutto, sia piuttosto stabile, mostrando la non correlazione con la circolazione del contante ma derivante da sistemi ben più raffinati che vanno dalle finte fatturazioni, ai trasferimenti infragruppo, all’abuso delle costruzioni in economia, etc. Pensare di allentare la retorica della lotta al contante significa solo voler mostrare un cambiamento di rotta verso un rapporto, forse, più diretto e meno sospettoso verso il cittadino/contribuente e, in prospettiva, potrebbe essere il primo passo per quella riforma del fisco dalle basi che tutto il Paese attende da anni.
In definitiva, tra luci e ombre, questa prima “Finanziaria” del Governo Meloni, non può che essere definita coerente con le aspettative che la campagna elettorale aveva acceso negli elettori e, anche, piuttosto coraggiosa. Certo manca la flat tax, che probabilmente mai vedremo anche perché è più uno spot elettorale che una reale rivoluzione, e la maggior parte delle risorse va a contrastare l’emergenza energetica che la guerra in Ucraina ha creato ma ci sono molti spunti positivi e poche ingenuità ideologiche (no, il bonus matrimonio non è previsto perché è un DDL presentato in Parlamento ma che non è nemmeno al vaglio del Governo) perché occorre gestire le risorse limitate a cui si possa attingere per avviare il programma presentato alle elezioni e le premesse perché questo possa essere realizzato ci sono, la legislatura è solo agli inizi e tempo per valutare l’operato di questa maggioranza ne avremo a iosa.