Archiviato il Documento Programmatico di Bilancio, presentato nel mese di ottobre, la Legge di Bilancio, il primo vero esame per il Governo Draghi, arriva in Parlamento per l’esame e la discussione. Qualche giorno fa, infatti, si sono aperti in Senato i lavori sul testo ufficiale della legge dando il via a uno dei periodi più “caldi”; nonostante il clima meteorologico, dell’agenda politica e, malgrado la particolarità del momento, in cui alla “finanziaria” si affianca l’attuazione del PNRR su cui si scaricano diversi capitoli di spesa volti al rilancio del sistema economico, non sembra che ci siano molte differenze nella strutturazione della Legge mentre, invece, sembra quasi “rivoluzionario” l’indirizzo delle risorse previste. Vediamo il perché di questa affermazione. Partiamo dal perché non differisca molto dalle ultime.
La manovra comprenderà misure per un totale di circa 30mld di euro, di cui 23,4mld in deficit; come è evidente il finanziamento delle poste non è diverso dalle ultime leggi di bilancio a firma del governo Conte, si tratta, quindi, di una manovra espansiva, in cui saranno canalizzate oltre un terzo di risorse a debito contando, quindi, sulla seguente ripresa economica per coprire le voci di bilancio con gli introiti fiscali conseguenti per non ricorrere all’emissione di nuovi titoli di debito pubblico.
In pratica si tratta di una scommessa, supportata dai “cantieri” di rilancio stabiliti nel PNRR, che punta a riportare l’Italia su un sentiero di crescita strutturale da cui, in effetti, ha deviato da diversi anni, cosa che, prospetticamente, dovrebbe permettere di ottenere le coperture necessarie che, oggi, non ci sono salvo l’aggravio del debito pubblico pregresso, non essendo previste nuove imposte.
È evidente che la premessa, fin qui delineata, inserisce questo provvedimento nel solco tracciato dall’operato della maggior parte degli esecutivi passati ma è il contenuto della manovra che, seppur in maniera non ancora ottimale, sembra mostrare l’elemento di maggior novità. Rispetto all’operato dei governi Conte, però, spicca subito una grande differenza che potrebbe essere riassunta nello slogan “meno bonus e più strutturalità”.
Se si andasse a scorrere la bozza di manovra, infatti, si vedrebbe, innanzitutto, un ridimensionamento del comparto “bonus” che tanto piacevano agli esecutivi precedenti, quindi una stretta sulla detrazione del 110%, soprattutto per le case singole che lo vedono condizionato da un ISEE piuttosto contenuto dei richiedenti, alla riduzione del “bonus facciate” al 60%, all’eliminazione del cashback alla rimodulazione del “reddito di cittadinanza”.
A questo si va ad associare il primo stanziamento di 8mld per la riduzione della pressione fiscale e 2mld per contrastare il “caro bolletta” unita al primo tassello della riforma, quanto mai auspicata, degli ammortizzatori sociali, a una rimodulazione del comparto pensionistico e il rinvio dell’applicazione delle populistiche plastic tax e sugar tax.
Quello che è interessante, ovviamente, è il secondo punto, quello relativo agli interventi che, oserei chiamare, strutturali perché per la prima volta si va oltre i meri annunci e si inserisce veramente un capitolo dedicato alla riduzione del costo dello stato.
Certo, 8mld sono pochi costituendo meno dell’1,6% del gettito fiscale dell’IRPEF ma è un primo passo che apre la strada alla legge delega, prossima ventura, che dovrebbe portare a quella riforma fiscale che si aspetta, finora invano, da anni e anni. L’obiettivo è sgravare lo scaglione medio dell’imposta sulle persone fisiche, quello che passa dal 27% al 38% una volta superati i 28’000 euro di reddito annuo e che va a pesare su quel “ceto medio” che negli anni è stato tartassato più di chiunque altro; sicuramente il vantaggio numerario apportato ai beneficiari della riduzione di imposta non sarà eclatante ma dovrebbe poter influire positivamente sulle aspettative per il futuro permettendo un certo rilancio a consumi e investimenti che stanno alla base di una ripresa strutturale della crescita.
A questo si aggiungono le risorse che dovrebbero dare un po’ di respiro ai cittadini alle prese con i rincari dell’energia dovuti all’impennata dei prezzi delle materie prime avvenuta negli ultimi mesi.
Qui ci vorrebbe un inciso: il prezzo di elettricità e gas è viziato da dei costosi “oneri di sistema” che per oltre il 75% servono a sovvenzionare le cosiddette “energie rinnovabili”. Ora, se una fonte energetica fosse conveniente non avrebbe bisogno di incentivi, se ne avesse bisogno allora non avrebbe alcuna convenienza ad essere mantenuta; non è, questa, un’affermazione politicamente corretta, è evidente, ma così è: la corsa alle “rinnovabili” è iniziata decenni fa, spingendole a livello fiscale con detrazioni ad hoc per gli impianti domestici e grandi vantaggi, oggi venuti meno, per chi cedesse l’energia prodotta e non utilizzata direttamente al gestore dei servizi energetici, il tutto al prezzo di un continuo incremento dei costi dell’energia nel Paese che, oggi, è uno dei più alti in tutto l’occidente e costituendo uno dei vulnus maggiori a livello di competitività del sistema Italia.
Una mossa coraggiosa, anche se politicamente rischiosa a livello di consenso, sarebbe quella del taglio completo degli incentivi andando a scontare, così, il costo relativo in bolletta che se si agisse anche sulle accise previste, si potrebbe arrivare a un costo inferiore per il cittadino anche di un terzo senza grossi contraccolpi per l’Erario.
Così come è messa, infatti, la misura sembra più emergenziale che altro anche se è un positivo elemento di novità che, per la prima volta, si vada ad agire sullo sgravio delle bollette, invece che ricorrere a continui nuovi aumenti per sovvenzionare delle opinabili misure “verdi” che, in realtà, hanno dei costi ambientali non banali.
Anche nel campo degli ammortizzatori sociali si assiste, poi, a un cambio di prospettiva, passando dall’assistenzialismo più marcato, che ha visto nel “reddito di cittadinanza” la sua espressione più evidente (anche perché implementato solo dal lato del sostegno al reddito e non sufficientemente da quello dell’intermediazione verso nuovi impieghi), a una tutela del reddito nella transizione tra un lavoro e un altro ma che si potrà giudicare solo quando la riforma complessiva sarà “messa a terra”.
Stesso discorso per le previsioni lato pensioni, che vanno nella direzione di un accantonamento, probabilmente definitivo, di quella “quota 100” che poneva seri dubbi di sostenibilità ma che deve essere prodromica a un vero intervento strutturale nel campo previdenziale per evitare le distorsioni che già si sono viste nel passato con allungamenti, anche eccessivi, della “vita lavorativa” non supportati, però, da un mantenimento dei livelli di assegno di quiescenza che dovrebbe seguire il raggiungimento dei requisiti per l’accesso alla prestazione.
In ultimo quello che parrebbe essere un mero rinvio quando, invece, potrebbe nascondere una vera e propria cancellazione di due provvedimenti simbolo della vulgata, populisticamente, ecologista del recente passato: il congelamento della plastic tax e della sugar tax, cioè.
È evidente che una cancellazione tout court non sarebbe stata possibile, perché il gettito, seppur stimato, era già stato messo a bilancio, come accade di consueto, a copertura di maggiori spese e la sospensione servirebbe, almeno a occhio, a dare tempo per reperire le risorse per evitare l’applicazione di due imposte ideologiche e, di fatto, dannose che avrebbero messo in forse la redditività di numerose aziende, inutile dire già appesantite da una pressione fiscale eccessiva, con la relativa occupazione.
In definitiva si può leggere questa manovra come una struttura canonica, per via delle previsioni di copertura, che presenta, però, dei contenuti molto interessanti, sia per il messaggio di novità che rappresentano sia per le possibili evoluzioni future.
È, senza dubbio, una Legge di Bilancio di transizione, prevista per agire in sinergia con il PNRR ma che potrà essere valutata nel suo complesso solo fra diversi mesi, quando tutta l’opera riformista, annunciata dall’attuale governo, vedrà la luce.