La Memoria a 70 anni di distanza dalla riapertura dei cancelli di Auschwitz non è più un fatto facile da conservare. In queste ore siamo concentrati nel ricordo della Shoah in cui morirono 11 milioni di persone, di cui sei erano Ebrei. Guardo questo evento proprio da Auschwitz, dove mi trovo per le celebrazioni assieme ai sopravvissuti. Che erano pochissimi già all’indomani del 27 gennaio 1945 e sono ancora meno oggi. Il tempo ci ha portato via i testimoni dell’orrore. Dieci anni fa, nello stesso luogo da dove scrivo, in Polonia, erano in 1500 i superstiti dei campi di sterminio nazisti che avevano preso parte all’evento dei 60 anni dalla riapertura del campo di sterminio. Oggi sono 300. La maggior parte 90enni, alcuni superano i cento anni. E allora, nel gelo polacco, mentre possiamo ancora ascoltare le poche testimonianze che restano, la mente corre verso le future generazioni che vedranno film e documentari, visiteranno i campi di sterminio grazie ai viaggi della Memoria ma senza quel racconto in grado di trasmettere le sfumature dell’inferno.
Cosa possiamo fare? Come possiamo onorare la Memoria che un giorno, speriamo il più lontano possibile, sarà orfana dei Testimoni? Sicuramente dobbiamo promettere a chi si è salvato che non smetteremo mai di raccontare ciò che è stato, i giovani devono intensificare l’elaborazione del ricordo, le scuole continuare a portare gli alunni in viaggio ad Auschwitz, le istituzioni prendersi carico di progetti nazionali che colpiscano non solo le grandi metropoli ma anche la profonda provincia. Ma l’esercizio di guardare al passato non deve essere solo un movimento meccanico che rischia di alienarci e relegare al 27 gennaio celebrazioni che si svuotano di significato. Va rinnovato ogni anno.
Allora, seppur la Shoah non conosce paragoni, mentre ricordiamo la belva nazista dobbiamo avere il coraggio di mettere il naso negli angoli del globo dove si compiono crimini nel silenzio di noi tutti. Pensiamo ai cristiani perseguitati in tanti Paesi in Medio Oriente, pensiamo agli yaziri, al Darfur, all’Islam messo sotto scacco da chi utilizza la religione per generare terrorismo. Mi chiedono in queste ore qual è il collegamento tra Auschwith e ció che è successo in Francia. Sia chiaro, non esiste paragone con la Shoah e non c’è somiglianza tra le camere a gas e i morti di Parigi. Ma ciò di cui sono sicuro è che questa storia ci insegna che gli assassini sono tutti uguali. Sono gli eroi a essere diversi. Ed ecco il motivo per cui dobbiamo preservare le diversità, esaltarle e promuoverle. È la valorizzazione di ogni singola differenza a vincere il nazismo e i terroristi. Del resto ad Auschwitz non è morta una massa di sei milioni di ebrei, ma sei milioni di singoli esseri umani ognuno diverso dall’altro. Questa è la promessa che dobbiamo fare ancor prima che ai sopravvissuti, a noi stessi.
Fabio Perugia
Portavoce della Comunità ebraica di Roma