La tornata elettorale europea è alle porte, l’appuntamento potrebbe avere una portata storica, considerando il significato politico che queste elezioni stanno assumendo per le istituzioni europee: in sintesi, un fronte sovranista ed euroscettico sta apertamente sfidando le posizioni dei partiti affini alle politiche economiche di Bruxelles. I partiti di marca sovranista stanno tentando di trovare una difficoltosa quadratura del cerchio, in attesa di un risultato che potrebbe fortemente alterare la composizione del parlamento europeo. La Lega in Italia e la crisi migranti, la crescita di Vox in Spagna, i tumulti dei Gilet Gialli in Francia, Farage e gli euroscettici…rimane da chiedersi: chi vuole questa Europa?
D’altra parte, l’Unione sembra non essere ancora riuscita a trovare una propria identità: lo spazio economico comune dei vari membri, in mancanza di una vera sintesi, sta mostrando i propri limiti nell’affrontare le sfide di natura geopolitica che attanagliano il continente. Dalla crisi ucraina a quella dei migranti, passando per la Brexit, le spinte di Pechino ed il conflitto siriano, l’Unione Europea sta assistendo a pericolose turbolenze ai confini del proprio territorio. La natura stessa del soggetto politico europeo (definibile, al momento, come una governance fortemente improntata sulla materia economico-finanziaria) vive un paradosso: nonostante il mercato comune ed un continuo richiamo a formule che suggestionano ma non trovano riscontro nella realtà (come quella di “identità europea”), la sfera della difesa del continente è ancora principalmente demandata alle strutture alleate della Nato, istituzione che vigila sul vecchio continente per evitare non solo l’espansione della sfera di influenza di Mosca, ma anche una possibile futura organizzazione di una struttura europea che possa mettere in comune l’economia, la difesa e la gestione della cosa pubblica. Oltre a ciò, decisioni strategiche importanti come la risoluzione della crisi migranti e la politica energetica all’interno dell’Unione sono ancora demandate alle esigenze dei singoli Paesi che spesso perseguono interessi apertamente contrastanti a quelli comunitari (come nel caso del gasdotto North Stream 2).
Mettendo per un attimo da parte le ingerenze russe nella politica europea, tra percezione, effettivo peso specifico e funzionalità delle stesse, i primi avversari dei cosiddetti “Stati Uniti d’Europa” sono, infatti, proprio gli Stati Uniti d’America. Tutt’oggi i membri della Nato coincidono perfettamente con quelli dell’Ue, importantissime basi americane sono site in Paesi strategicamente decisivi come Italia, Germania, Polonia e Romania. La Nato puntella tutto il territorio della Ue, facendo sorgere spontanea una domanda: in che modo una difesa comune europea potrà interfacciarsi con un alleato che dal secondo dopoguerra si è accollato la stragrande maggioranza delle spese militari? In che modo Bruxelles farà valere la propria futura (ed oggi tanto vituperata) “sovranità” sui propri territori nei confronti di Washington?
L’attuale formato dell’Ue è senza dubbio utile alla causa statunitense: un grande bacino di consumatori benestanti, abituato ai sistemi del libero mercato, allenato da decenni di Guerra Fredda a diffidare da sistemi economico-sociali alternativi a quello liberal-capitalista, che ha assimilato senza difficoltà l’inglese come lingua franca, con le proprie identità nazionali sempre più in crisi, erose dalle spinte globaliste, ma al tempo stesso ancora disunito dal punto di vista politico e militare. Un “gigante economico” che cammina a braccetto di un “nanetto politico” La sensazione è che le prossime elezioni rappresenteranno un punto di svolta, un bivio decisivo: definire la propria identità europea in senso politico o soccombere diventando terreno di scontro tra Washington, Pechino e Mosca.