La famiglia è la prima “agenzia-risorsa” affettiva, educativa, di accoglienza, di cura, di guida per chi viene al mondo e, suo malgrado, è chiamato a far parte della comunità umana del Paese in cui nasce, è opportuno valutare con quale modalità, oggi, in Italia, quei nuclei familiari si formano, si sviluppano, si consolidano, si sfaldano e/o agiscono, positivamente e/o negativamente, legalmente e/o illegalmente. Già con il libro “Se non ti amo più” ovvero “Quando lasciarsi bene diventa una risorsa anche per i figli” (Mondadori 2017) avevo sottolineato elencandole, le “varianti” familiari connesse alle trasformazioni in atto nelle “nuove famiglie”.
Alle “famiglie tradizionali”, da considerarsi, ormai, un 20% in rapporto alle altre avevo aggiunto: “le famiglie allargate”, ovvero i nuovi nuclei, spesso con nuovi figli che si formano dopo la separazione e/o il divorzio degli ex coniugi. E, ancora, le “famiglie monoparentali” – dove un solo genitore, per scelta o per abbandono dell’altro, si prende cura del figlio o dei figli; “le famiglie affidatarie” per ospitare, più o meno a lungo, quei minori che, nelle loro famiglie d’origine, non possono crescere per assenza di cure o per evidenti disfunzionalità. E, di seguito, le famiglie “adottive” capaci di compensare il definitivo abbandono patito da quei minori che, per varie ragioni, sono stati lasciati dai loro genitori naturali e, poi, quelle “interetniche” per le quali la mediazione e l’integrazione tra culture, riti, tradizioni diverse è di fondamentale importanza per una reale integrazione sociale.
E’ a queste realtà, così complesse, articolate, delicatissime che la scuola, seconda agenzia educativa, deve far fronte. E, anzitutto, provvedere ai minori che da queste realtà familiari provengono e, fin dal nido, frequentano la scuola. E farlo in modo adeguato, opportuno, altamente competente, contenitivo, legale, contemporaneo. E, come abbiamo ribadito nel libro “Il Decalogo della Scuola al Centro”, Casa editrice Armando Curcio, è la scuola a dover essere il ponte tra la famiglia e il sociale. E’ sulla scuola che è necessario puntare, combattendo con fermezza ogni ritardo dei notevoli, decisivi investimenti economici di cui ha bisogno ed ogni inadeguata, superata, disfunzionale metodologia negli interventi psicopedagogici e culturali.
Laddove, ad oggi, materie quali, ad esempio ed in primis, la scienza della comunicazione e del comportamento, l’uso virtuoso del virtuale, l’educazione sentimentale e sessuale, l’educazione alla conoscenza e al rispetto dell’ambiente, la conoscenza, ogni anno da ripetere e approfondire, dei diritti e dei doveri sanciti dalle Convenzioni per i minori oltre che da quelli umani e costituzionali, non hanno trovato una prioritaria, curriculare, sistematica, accoglienza. Una scuola, dunque, resa Centro Culturale Polivalente, aperta dalla mattina al tardo pomeriggio e resa agibile contro ogni decadimento e fatiscenza. Una scuola dotata di mense, biblioteche e poli museali, che consentano di utilizzare, anche a scuola, la funzione terapeutica della bellezza. Scuole che siano, anzitutto e soprattutto, dotate di una stabile, interna equipe “antromedicosociopsicopedagogica”, collegata alle realtà sanitarie, culturali, sportive, spirituali, ricreative del territorio. E che in tutte le scuole di ogni ordine e grado sia posta al costante servizio del sostegno psicologico e della formazione degli insegnanti e del personale scolastico. Così da poter cogliere, preventivamente, i segnali di ogni disagio sia degli adulti sia minorile e favorire il rapporto con le famiglie dalle quali gli allievi provengono.
L’articolo della professoressa Maria Rita Parsi è pubblicato su Il Giorno