Il Pontefice alza il livello di attenzione globale tornando a parlare di Terza Guerra Mondiale. Lo Stato islamico minaccia un attacco contro la coalizione, l’Europa, i cristiani, e fa appello ai kamikaze: “Preparate le cinture esplosive”. L’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede lancia l’allerta: Papa Francesco è un bersaglio, la strategia dell’Isis punta sul clamore mediatico”. Tutto è accaduto nello stesso giorno, a testimoniare quanto alto sia il livello di allarme e quanto concrete siano le ipotesi che possa accadere qualcosa. Una spirale di violenza, preoccupazione, terrore che si alimenta a una sola fonte: l’odio.
L’efferatezza delle azioni jiahdiste, la crudeltà delle esecuzioni di civili sono non soltanto una strategia di posizionamento nel mondo musulmano che va avanti dai tempi di Bin Laden (tanto che ha portato a contrasti aperti anche con i capi di Al Quaeda; nel febbraio del 2014 Zawahiri ha “espulso” l’Isis di Al-Baghdadi reo di non essere rimasto fuori dalla guerra in Siria) ma rappresenta l’apice di un mondo sempre più preda dell’intolleranza- La questione infatti non è limitata solo all’Isis, ma l’intero pianeta è vittima di un’incapacità di dialogo, di un’idiosincrasia verso il perdono che rendono difficili anche i rapporti più comuni.
Nelle nostre strade il razzismo è palpabile, meno evidente della tradizionale differenza tra bianchi e neri, ma non per questo meno pericoloso. E che dire della totale incapacità a distinguere su piani diverse le piccole discussioni quotidiane dai grandi temi; ormai basta un’occhiata per scatenare liti mortali, nemmeno il luogo sicuro per eccellenza, ossia la famiglia, è più così sicuro. In un contesto in cui anche il nucleo del vivere insieme è minato alla base, dove la convivenza in società organizzate è messa a dura prova dall’intolleranza, le stragi dell’Isis sono l’automatica conseguenza.
Uso il termine automatica e non naturale perché non può e non deve passare il messaggio che tutto ciò sia inevitabile. I drammatici proclami dell’Isis contro la Coalizione voluta da Obama – che annovera 10 Paesi arabi e altre 30 nazioni – sono contenuti in due video rilanciati dai media egiziani proprio mentre al Cairo sbarcava John Kerry, per tessere la tela dell’alleanza. Ricucire il filo del dialogo è l’unica strada possibile, uno sforzo che devono fare tutti gli uomini di buona volontà e qualunque religione.