Dietro l’angolo, e sarebbe sciocco negarlo, c’è lo spettro delle elezioni anticipate, che potrebbero segnare la primavera del prossimo anno. Un rischio per molti, un passaggio democratico per altri. Comunque una prova per tutti. Vincitori e vinti, patriarchi e figli. La sensazione che si è andata consolidando in queste settimane di agosto è che il governo non abbia ancora pronta l’agenda per l’autunno, eccezion fatta per la riforma del Senato, diventata la madre di tutte le battaglie con la minoranza Dem attestata sulla linea del Piave. Ma rispetto all’esercito italiano le truppe di Bersani e Cuperlo, sostenute dall’alleato Fassina, sembrano avere una strategia aggressiva. Che non è detto sia un bene per il Paese, ma non può non essere presa in considerazione. Anche perché un partito sempre più trasversale, rappresentato plasticamente negli editoriali della domenica da Eugenio Scalfari su Repubblica e Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, non condivide affatto l’idea di avere a che fare con un Parlamento di soli “nominati”. E ancora democrazia quella o ci avviamo verso un autocrazia? Non conosciamo la risposta, ma sappiamo che la partita per la riforma del Senato se non è fondamentale per la sorte degli italiani, di sicuro lo è per le regole del gioco.
Ecco perché sarà un autunno caldo, se non addirittura rovente. E lo sarà anche sul tema dell’immigrazione, nonostante il fisiologico calo degli sbarchi. Sino ad oggi il governo non ha saputo, o voluto, mettere in campo una strategia complessiva, lasciando spazio alla campagna elettorale permanente, dove Lega e Movimento 5 Stelle trovano il loro brodo di coltura. Ma non è cosi che si affrontano i problemi. Il monito di Papa Francesco è stato un severo richiamo alla realtà. Per tutti. E riguarda tutti il capitolo dell’economia. Non basta dirsi d’accordo sulla riduzione delle tasse, occorre attivare la macchina che riduce la voracità del fisco. Ecco perché gli italiani si aspettano scelte forti e mirate, che vadano oltre la logica dello spot elettorale sulla prima casa e le accise che ne rendono la proprietà un problema e non una soluzione. Insomma, non sarà un settembre come gli altri. E non lo sarà per la semplice ragione che tutti, ma proprio tutti, lo vanno caricando di significati particolari, di simboli fondamentali dai quali non possiamo prescindere.
Se Renzi saprà operare quello scarto di lato, quel cambio di passo necessario per uscire dal dire per entrare nel fare, avremmo un autunno storico, e non un settembre nero. Ma solo se avrà coraggio e si metterà davvero in sintonia con il Paese, a partire dal Mezzogiorno. Parlare di masterplan e agende è bello, certo, ma non rappresenta la sostanza per risolvere, meglio sarebbe dire aggredire, gli atavici problemi che affliggono il meridione d’Italia. Se il governo, e con esso il Parlamento, dovesse restare sul materasso a molle degli annunci, saltando i problemi, allora sì che avremmo davvero l’autunno del patriarca. L’uomo solo al comando, per dirla con Mattarella, non basta per un Paese coralmente incapace di risollevarsi da solo. Serve il concorso di tutti per tornare davvero a correre.