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L’attualità del “Papa buono”

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Il pellegrinaggio a sotto il Monte dal “Papa buono” che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha vissuto il 20 maggio è stato un immergersi nella via della pace che ha tracciato quest’uomo, contadino, nato in questo paesino del bergamasco, quarto di tredici figli. Da bambino guardava dalla finestra e vedeva il suo parroco, dopo la Messa, andare anche con la neve a dare la comunione agli ammalati: da Papa, col nome di Giovanni XXIII, si affaccerà per recitare l’Angelus ogni domenica e salutare tutti con il sorriso. Uomo semplice, umile, con il cuore nella sua famiglia ma cittadino del mondo, fu inviato in Bulgaria per camminare con i fratelli cristiano-ortodossi, quindi in Turchia per dialogare con il mondo islamico e nella Francia laicissima dove è riuscito a farsi volere bene da tutti puntando su ciò che unisce anziché su ciò che divide.

Pacioccone, un po’ goffo, ritenuto un Papa di transizione, scriveva: “Nelle mie conversazioni notturne ho sempre avuto davanti a me questo Gesù crocifisso con le braccia aperte per ricevere tutti”. Riuscì a salvare migliaia di condannati a morte dal nazismo, consapevole che “questa è l’ora dei grandi sacrifici. Nel sacrificio di ciascuno è il mistero della pace che il mondo aspetta, e noi invochiamo questa pace”.

Il suo testamento spirituale “la Pacem in Terris”, scritto nell’aprile del 1963 a pochi mesi dalla morte, dopo avere aperto il Concilio Vaticano II, è un capolavoro dello Spirito Santo che i pontefici successivi hanno attuato fino ad oggi con Papa Francesco. Sottolinea che tutti hanno diritto all’esistenza e ad un tenore di vita dignitoso, per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, le cure mediche, i servizi sociali necessari. Il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza. Il diritto di emigrazione e di immigrazione. Che l’autorità non può essere serva dell’interesse di uno o di pochi ma deve essere a vero vantaggio del bene comune. Che bisogna sapere leggere i segni dei tempi nella verità e nella giustizia. Che nulla è perduto con la pace e tutto può essere perduto con la guerra.

Inoltre richiama con forza che la pace si costruisce con il dovere di partecipare alla vita pubblica con competenza, unendo i valori spirituali alla vita per uno sviluppo integrale della persona in formazione, con un impegno costante. Termina dicendo: “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso, di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, giustizia, nell’amore e nella libertà”. E chiede al buon Dio che “illumini i responsabili dei popoli perché difendano il gran dono della pace”. Ora tocca a noi, è il tempo della responsabilità.

Tratto da “Sempre”

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