Lo so; per anni lo abbiamo letto così: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. Eppure nella versione che è stata scelta nell’ultima edizione della Bibbia della Cei, si dice: ““La luce splende fra le tenebre, e le tenebre non l'hanno vinta” (Gv 1,5)
Allora, quale sarà mai la traduzione giusta del verbo greco originale katélaben? “Vincere” e “accogliere” non sono la stessa cosa, eppure sono verbi diversamente usati da versioni ufficiali o qualificate. Qual è, dunque, quella preferibile? È vero che il verbo greco presente nel testo originario è di sua natura ambiguo perché può avere entrambi i significati, ma riflettiamoci insieme, partendo dalla traduzione di più lunga data: “le tenebre non l’hanno accolta”.
Il verbo greco usato racconta un’opposizione (espressa dalla preposizione katà). Se l’evangelista avesse voluto parlare di “accoglienza”, avrebbe usato il verbo parélaben, come appunto fa nel versetto 11: “Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto (parélabon)”.
E invece no. Giovanni usa due verbi diversi. Come è logico pensare, Giovanni stava esprimendo due concetti diversi. E così arriviamo all’ultima versione della Cei che a me piace tanto: “le tenebre non l’hanno vinta” (o “sopraffatta”). L’evangelista racconta di un’ostilità che scorre tra la luce e le tenebre, tra Cristo e il mondo. È una sfida di cui Giovanni racconta subito l’esito finale: vince la Luce.
Tra l’altro, è interessante leggere lo stesso messaggio di vittoria nell’unico altro passo del quarto Vangelo in cui appare lo stesso verbo greco: “Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi afferrino (katalábê)” (12,35). Insomma, siamo immersi in una lotta in cui ci conviene stare dalla parte del Vincitore.
E il “Verbo” è il vincitore! Trionfa straordinariamente anche se, come in un film dove fino all’ultimo minuto sembra che l’eroe protagonista sia destinato a perdere, si rimane col fiato sospeso fino alla mattina del terzo giorno. Quante volte, anche nella vita, ci concentriamo tristi ed avviliti sui nostri “venerdì santi”, convinti che il dolore sia destinato a vincere.
Ma non è così. Siamo dentro le fauci del male, ma attraversati dalla luce che ci sorregge e che vince. Un po’ come la famosa icona di Rublev sulla Natività. Nella parte alta dell'icona un fascio di luce scende come per illuminare l'oscurità della caverna in cui è Gesù Bambino. La buia caverna sembra essere le fauci degli Inferi. Nell’ingresso dell’oscura grotta si trova la testa del bambino Gesù che è sullo stesso asse di simmetria del fascio di luce. Buio e Luce si stanno scontrando.
Il bambino è posto in una culla che sembra un sepolcro, avvolto in bende incrociate che rimandano alla sepoltura. E quel triangolo oscuro della grotta, apertura tenebrosa delle viscere, è l’inferno. Quel bambino adagiato nelle tenebre è la discesa della Parola di Dio agli inferi: “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,5).
Quel bambino è Dio venuto sulla terra, nato all’ombra della morte, l’“uomo dei dolori” raccontato da Isaia, fasciato con le bende che diverranno segno esplosivo per Pietro e Giovanni della sua risurrezione Le tenebre non lo hanno afferrato. Tutta la storia degli uomini è una battaglia tra il bene ed il male… ed il male non vincerà. Ci prova continuamente, ma non vince.
Ed è sempre una tristezza infinita vedere le creature umane lasciarsi irretire da ciò che luccica, invece che volgere lo sguardo verso ciò che brilla: la Luce di Dio, la Parola che crea. Gesù che viene, brilla di vera vita e di gioia senza limiti. In Gesù il male diventa provvisorio ed il bello diventa per sempre. “Gesù ci ha consegnato una luce che brilla nelle tenebre: difendila, proteggila. È la ricchezza più grande affidata alla tua vita” è il tweet di Papa Francesco del 27 ottobre 2017.
Il bene appare debole, ma vince sempre. Ieri pomeriggio me l’ha insegnato la mia fantastica collega, insegnante di sostegno. Di ritorno dal Collegio docenti mi raccontava in macchina: “All’inizio avevo paura di non farcela, di non essere all’altezza. Ho conosciuto tanti casi gravi e seri e pensavo di non riuscire. Una volta Cri, dopo che mi avevano spiegato perché Davide, 18 anni, bellissimo e dolce, stava sulla sedia a rotelle, ho pianto per tutta la sera appena tornata a casa. Poi, con il passar del tempo, lavorare sempre a contatto con tutti questi ragazzi fragili, mi ha resa forte. Tanto forte. Perché la loro debolezza è solo apparente. Con loro ridimensioni tutto perché ti entra dentro l’essenza della vita. Tutto ciò che è apparenza scompare e rimane il loro coraggio nell’affrontare la vita con dolcezza e semplicità. Tutti i problemi stupidi che noi “sani” ci facciamo nella vita, scompaiono grazie a loro. Io non credo in Dio ma questi ragazzi, in questi dieci anni di lavoro, mi hanno regalato l’essenza della vita. Alcuni “esperti” del settore mi hanno detto e ridetto che non mi devo lasciare coinvolgere troppo da queste loro vicende personali. Mi hanno consigliato di lasciare il lavoro fuori dalla porta di casa mia. Ma io continuo a non farlo. Perché è in quella fragilità quotidiana che io mi nutro di forza. E quella forza la faccio entrare a casa mia, ogni sera”.
Ancora oggi la Parola di Dio continua a parlare con l’alfabeto della debolezza, formando sillabe di mitezza che vincono sempre sulle urla dell’arroganza. Anche in questo Natale 2017 il Verbo di Dio seguita a bisbigliare l’essenza della vita negli orecchi di chi sa ascoltarla.