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L’Aids al tempo del Covid-19

La pandemia da HIV/AIDS è stata l’ultima devastante pandemia del XX secolo, tuttora attiva nei primi decenni del XXI secolo. Per gli infettivologi, i virologi e gli immunologi della mia generazione, l’AIDS ha costituito la fondamentale e drammatica esperienza professionale e umana. Segnalata originalmente dagli USA nel 1982, l’epidemia è progressivamente dilagata in tutti i continenti avendo come caratteri salienti la fatale letalità a carico di popolazioni giovanili e lo stigma legato alle sue modalità di trasmissione molto suggestive: sangue, sesso e droga. Vi fu chi pronunciò la stentorea condanna: “L’AIDS lo prende chi se lo va a cercare”, anche da parte di alcuni medici, in barba al giuramento di Ippocrate.

Ricordo quando, arrivando la mattina in Reparto, chiedevo notizie dei morti nella notte: 4-5 giovani perlopiù ventenni. Ricordo come allora di fatto non avevamo cure efficaci, se non la Zidovudina (AZT) e farmaci analoghi della stessa classe (inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa, NRTI) usati singolarmente o in duplice terapia. Regimi che si rivelavano di qualche efficacia per 6 mesi e poi fallimentari perché il virus sviluppava resistenza e la malattia tornava a progredire. Tanto che si svilupparono teorie “complottiste” per cui l’AIDS addirittura era “provocato” dall’AZT, che continuava ad essere prescritto per favorire il business di Big Pharma!

Così trascorsero anni di sostanziale frustrazione, finché con l’avvento dei farmaci di altre classi (inibitori della proteasi, PI) venne proposta la “triplice terapia” nel 1996, che salvò la vita di quei pazienti che poterono scavallare quella data. Ma questo non bastò a spegnere le teorie complottiste, alimentate dall’elevato costo dei farmaci e dalla gravità degli effetti collaterali e tossici a questi legati. Gli attivisti delle associazioni di sostegno di omosessuali (e tossicodipendenti) arrivarono al punto di lanciare secchi di vernice rosso-sangue contro gli scienziati che nel 1996, al Congresso dell’AIDS di Vancouver, annunciavano l’efficacia della “triplice terapia” finalmente capace di superare le resistenze del virus.

Ricordo che a me invece, in quella circostanza, finalmente parve di assistere a una sorta di miracolo. Poi, nel volgere degli anni, si resero disponibili nuove classi di farmaci, da usare in combinazione per costruire regimi via via più tollerati ed efficaci. Al punto di trasformare l’AIDS da malattia acuta e letale in patologia cronica curabile, sempre meno da ospedalizzare e sempre più gestibile negli ambulatori. Via via si passava da regimi “eroici” di 18-20 compresse al giorno a 3-4 combinando in una sola compressa più molecole (Fixed Dose Combination, FDC) fino a comprimere tutto il regime in un’unica compressa (Single Treatment Regimen, STR). A questo punto, intorno al 2010, venne lanciato l’hashtag 90, 90 e 90 a indicare l’obiettivo 90% dei casi diagnosticati, 90% dei casi diagnosticati presi in cura e 90% dei casi in cura con virus azzerato. Cui successivamente si aggiunse il 4° 90: 90% dei casi con assicurata buona qualità di vita. Attualmente la formula è stata addirittura riedita: 95, 95 e 95!

In parallelo fu adottato un viraggio dai termini stigmatizzanti in voga a termini più politicamente corretti: uomini che fanno sesso con uomini (MSM) in luogo di omosessuali maschi, Sex workers in luogo di prostitute/i. Una nuova sensibilità portò all’affermazione di sempre più rispettate associazioni di sostegno LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender etc.).

Defatiganti discussioni fra istituzioni e aziende farmaceutiche e infine regolamenti internazionali nel frattempo avevano reso disponibili i farmaci al 3° mondo, come allora si definivano i Paesi in Via di Sviluppo (PSV). Erano passati ben 20-40 anni ma si considerava un miracolo la rapidità di progressi realizzati a fronte di altre storiche pandemie, in primis la Tubercolosi e la Malaria.

Oggi è arrivata un’altra pandemia: la COVID-19, scaturita dal mondo animale, anch’essa legata a un salto di specie (spillover). Questa infezione ha caratteristiche molto diverse: trasmissione per via respiratoria ed elevata diffusibilità, minore letalità e a carico soprattutto della popolazione anziana (quindi “innocenza” dei pazienti e non stigma), minore tasso di mutazioni del virus causale SARS-CoV-2 (quindi più agevolmente dominabile con il vaccino).

Nel caso della COVID-19 in effetti oggi abbiamo realizzato in 10 mesi vaccini efficaci, che tuttora non abbiamo per HIV. Di fatto i vaccini offrono possibilità di controllo della pandemia realizzando progressi “miracolosi” nell’arco non di 20 o 40 anni ma di soli 2 anni. Ma come una nemesi, se nel caso dell’AIDS dobbiamo continuare a combattere lo stigma, nel caso della COVID-19 la lotta è diretta oggi contro i “complottisti no-vax” e gli “esitanti” di fronte alla vaccinazione.

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