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La Shoah: il più grande sistematico e orribile genocidio della storia

Il 27 gennaio di 78 anni orsonoAd Auschwitz c’era la neve/il fumo saliva lento/nel freddo giorno d’inverno/E adesso sono nel vento”, cantava Francesco Guccini, ma il “grande silenzio intorno” fu finalmente rotto dall’arrivo dei primi reparti della ormai vittoriosa Armata Rossa che spalancarono il cancello di quel grande campo di lavoro forzato e di sterminio, sopra il quale campeggiava la scritta terribile e ossimorica: Arbeit macht frei (Il lavoro rende liberi).

La Giornata della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno al fine di commemorare le vittime della Shoah. È stata istituita dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. In Italia l’istituzione risale alla legge  20 luglio 2000, n. 211 in cui si definiscono così le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

In occasione del Giorno della Memoria di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».

Con la formazione del Terzo Reich in Germania, al secolare antigiudaismo cristiano e all’antisemitismo delle correnti politiche e culturali reazionarie dell’Ottocento e del Novecento si aggiunge la suggestione di una completa concentrazione e totale distruzione degli Ebrei d’Europa. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale, essi sono circa nove milioni: un universo composito e diversificato, che si colloca tra tradizione e modernità, chiusura in se stessi e assimilazione, osservanza religiosa e secolarizzazione. Un universo che ha avuto, in epoca contemporanea, un ruolo di primo piano e d’avanguardia nella produzione artistica e letteraria, nella ricerca scientifica, nelle professioni liberali e nella stessa politica.

A seguito delle leggi di Norimberga del 1935 e di susseguenti legislazioni razziali come quella italiana del 1938, la discriminazione e la persecuzione si indirizza, a partire dal 1941, nel progetto di soluzione finale, in Germania e nell’Europa occupata dai Nazisti dopo l’aggressione del 1939 alla Polonia, in cui era presente la più numerosa comunità ebraica. Milioni di uomini e donne, bambini, giovani, adulti e anziani, sono deportati, sfruttati nella macchina produttiva tedesca, consunti fino alla morte e/o fisicamente eliminati.

È la Shoah: il più grande sistematico, orribile genocidio della storia, in cui milioni e milioni di europei sono coinvolti come vittime, carnefici e spettatori, spesso indifferenti e silenti, a partire dalle autorità militari e politiche.

Ha scritto Raul Hillberg nella presentazione del suo ponderoso volume La distruzione degli Ebrei d’Europa (Einaudi 1996): “Inesorabilmente si formò una macchina destinata a condurre a buon fine lo sterminio, costituita da un dispiegamento di uffici militari e civili, centrali e periferici, all’interno dei quali ogni impiegato e funzionario rispettando le proprie responsabilità, si adoperò a definire, classificare, trasportare, sfruttare e assassinare milioni di vittime innocenti e tutto come se nulla distinguesse la soluzione finale dagli affari correnti”.

Alla Shoah occorre aggiungere anche la deportazione e lo sterminio dei dei Rom e dei Sinti durante la Seconda guerra mondiale, definito in lingua romanì “Porrajmos” (divoramento) o “Samudaripé” (sterminio) che provocò mezzo milione di vittime, per le quali da alcuni anni è stata istituita una specifica giornata del ricordo, il 2 agosto. Nel campo di Auschwitz-Birkenau, infatti, nella notte del 2 agosto 1944 furono uccisi nelle camere a gas ben 4000 Rom e Sinti, chiamati con disprezzo “Zigeuner”, in maggioranza donne e bambini.

Il razzismo, stregoneria del nostro tempo, secondo la definizione di Francis Ashley Montagu (La razza. Analisi di un mito, Einaudi 1966), precipita nella discriminazione, nella persecuzione, nella deportazione, nello sterminio. La Shoah, come ha scritto Hannah Arendt è stata anche banalità del male. Marco Revelli nel libro Oltre il Novecento (Einaudi 2001) sostiene che per conoscere e comprendere nel profondo il secolo trascorso e il volto terrificante della modernità contemporanea, non si può prescindere da Auschwitz, dal Gulag e dalla Bomba atomica su Hiroshima.

Hanno scritto molti dei deportati sopravvissuti, tra i quali Primo Levi con il suo drammatico vissuto, che i loro aguzzini ripetevano loro: “Nessuno di voi uscirà vivo da questo campo e se anche ne uscirà non avra voglia di raccontare cosa è successo e se anche uscirà vivo e troverà la forza di ricordare, nessuno gli crederà“.

Walter Benjamin, il geniale intellettuale filosofo-sociologo ebreo-tedesco, morto suicida nel 1940, per sfuggire alla Gestapo, mentre cercava di fuggire dalla Francia occupata, nel suo libro, “Tesi di filosofia della storia”, ha illustrato il dipinto famoso di Paul Klee, “Angelus Novus”. Questo è rappresentato con le ali protese verso il cielo; ha il viso con gli acchi spalancati rivolti al cumulo di rovine del passato. Può costituire una illuminante metafora del Giorno della Memoria: solo non ignorando e non rimuovendo il passato si può evitare di precipitare negli abissi e negli orrori che lo hanno connotato.

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