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La sfida di Francesco

Come tutti i pellegrinaggi pastorali dei papi, anche la visita fatta da papa Francesco in Georgia e in Azerbaigian non è stata una “passeggiata”. Anzi, accanto alle manifestazioni di benvenuto per l’illustre ospite da parte di autorità e popolazione nella stragrande maggioranza di fede ortodossa, ci sono stati anche un momento di grande imbarazzo, misto a tensione e interrogativi vari, che solo la sapienza pastorale di Jorge Mario Bergoglio, il vescovo di Roma venuto dalla “fine del mondo”, ha saputo stemperare elegantemente e trasformare in momenti di dialogo franco, sincero e fraterno.

Come dimostra l’improvviso dietrofront della delegazione ortodossa georgiana alla Messa papale nello stadio di Tiblisi, malgrado le gerarchie della Chiesa ortodossa locale avessero assicurato la partecipazione di loro rappresentanti. Uno sgarbo per il pontefice, vero e proprio “schiaffo” – come i giornali di tutto il mondo hanno titolato – che, in verità, ha preso in contropiede lo staff vaticano al seguito del pontefice, dove nessuno si sarebbe aspettato un gesto simile specialmente dopo il caloroso incontro che solo poche ore prima c’era stato tra il Papa e il patriarca ortodosso georgiano.

“E’ solo una scelta dettata da questioni interne e da un canone dell’ortodossia che vieta la presenza di loro fedeli a preghiere di altre confessioni”, la diplomatica spiegazione del portavoce papale Greg Burke. Parole che hanno immediatamente messo a tacere qualsiasi altra reazione vaticana, facendo finta di ignorare le innumerevoli presenze di delegazioni ortodosse a preghiere papali ad esempio in Vaticano, ad Assisi, in Terra Santa. In Georgia, però, l’orologio della chiesa ortodossa locale è rimasto fermo di molti secoli. Al punto che, oltre al forfait dei delegati ortodossi, ci sono stati altri screzi come le manifestazioni di dissenso per la visita papale da parte di qualche gruppo oltranzista e il malinconico attraversamento di una Porta Santa che, non avendo ancora una chiesa, è stata eretta sul terreno su cui le autorità locali si ostinano a non concedere il placet per la costruzione di un nuovo edificio sacro per i cattolici georgiani.

Francesco, però, non si è lasciato intimidire. Non ha tralasciato occasione per parlare chiaro e ribadire ad alta voce che la strada dell’unione tra cattolici e ortodossi è l’”unica” in grado di sanare “le ferite sul corpo di Cristo”, già ampiamente colpito da “altre ferite come la guerra ideologica che si sta facendo a livello planetario contro la famiglia da parte di fautori di teorie gender, di facili ricorsi al divorzio, di altre forme di matrimonio e di mancata difesa della vita”. Puntualizzazioni, queste ultime, che – pur nel rispetto della tradizione cattolica – sono state mal digerite da radical chic, non credenti e diversamente credenti che, dall’elezione di Bergoglio, non fanno che elogiare le “aperture” di questo pontificato, mettendolo in contrapposizione con i precedenti papi. Francesco, invece, ha difeso la vita e la famiglia cristiana, senza nessuna omissione.

Ripetendosi negli interventi fatti anche a Baku, in Azerbaijgian, dove nell’elogiare “la tenacia” di quanti, affidandosi alla forza della fede, sono riusciti ad abbattere “oppressioni, persecuzioni e dittature” dei passati regimi (a Mosca qualcuno, anche nei pressi del potente Patriarcato ortodosso, non avrà certamente gradito) ha assicurato che “non sono venuto qui a perdere tempo, ma per stare vicino al piccolo gregge cattolico, come nel Cenacolo fece lo Spirito Santo che non ha mai perso tempo ”.

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