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La scienza e i limiti della vita

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Papa Francesco attraverso la lettera che mi ha inviato ieri si rivolge all'Associazione Mondiale dei medici, consapevole dell'importanza della medicina nella vita dell'uomo e particolarmente nel mondo contemporaneo. In un certo modo ne tocca la missione centrale, cioè quella di curare senza mai abbandonare il malato.

Il Santo Padre, dopo aver ricordato l'immagine del Buon Samaritano, chiama perfino “imperativo categorico” l'obbligatorietà della cura. Spiega quindi che occorre evitare in ogni modo l'abbandono terapeutico e parla di prossimità responsabile. Ecco, in questo orizzonte, che io chiamerei l'orizzonte umanistico della medicina, il Papa affronta alcuni temi del fine vita. Proprio in questa cornice Papa Francesco, riprendendo l'ormai tradizionale dottrina della Chiesa in materia, dice un no chiaro all'eutanasia e un no altrettanto chiaro all'accanimento terapeutico. Proprio perché mai si deve interrompere la cura, anche quando non è possibile la guarigione. Ma questo non vuol dire escludere in ogni modo l'accettazione del limite della vita umana. Da che mondo è mondo gli uomini e le donne muoiono. E' vero che oggi qualcuno, infatuato dalla tecnologia, pensa a un'immortalità attraverso tecniche pseudoscientifiche o a ipotesi che giungano a dire “morte alla morte”. Dunque il problema di fondo è che l'attenzione all'accanimento porta a dire che quando le terapie sono sporporzionate, al punto da creare perfino danno o maggior dolore al malato, esse vanno interrotte, per il semplice motivo che il limite proprio dell'uomo non viene eliminato dalla presunta onnipotenza della scienza e della tecnica, che onnipotenti non sono.

In questo quadro l'accompagnamento del malato può prevedere, quando c'è sproporzione, la cessazione dell'intervento clinico, non delle cure, che, ripeto, non vanno mai interrotte. In tale contesto il Papa sottolinea al contrario l'importanza e l'utilità delle cure palliative che sono appunto un prospettiva di accompagnamento teso a togliere o almeno diminuire il dolore, a non lasciar solo il malato, ma piuttosto a stargli accanto perché possa sentire il calore di chi gli è amico e familiare e affrontare così in maniera degna anche l'ultimo passaggio della vita.

mons. Vincenzo Paglia: