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La scacchiera politica milanese

Ecco, ci voleva il decreto Sicurezza, uno dei punti qualificanti della politica leghista di lotta e di governo, per far rinascere quel partito dei sindaci a cui la sinistra ha sempre guardato con amore e odio. A seconda delle alterne vicende. Ma stavolta il cosiddetto partito dei primi cittadini guidato da una vecchia volpe come Leoluca Orlando, passato attraverso tante stagioni, rischia di rivelarsi un problema serio per un Centrosinistra sempre più in affanno. E non tanto per la polemica con Salvini sul decreto Sicurezza, quanto per il caso Milano, dove la rottura fra il sindaco Beppe Sala, di sinistra ma non troppo, e il suo vice Pierfrancesco Majorino, molto di sinistra ma poco di centro, potrebbe produrre un effetto devastante. Sala, che lo si voglia o no, è uno dei pochi volti rimasti della stagione renziana capaci di scaldare le folle, avendo le caratteristiche del manager prestato alla politica. Il suo assessore, invece, innamorato delle fughe in avanti e coltivatore delle passioni terzomondiste di antica memoria, sogna lo scontro con Salvini. Mentre Sala mira al confronto, avendo ben presente che il suo prossimo orizzonte temporale sono le elezioni amministrative e il suo prossimo avversario sarà un leghista.

Il caso dunque è aperto. Prova ne è il guanto di sfida lanciato dall’amministratore di Palazzo Marino, orfano di Sala in vacanza a Cortina. Majorino ha lanciato l’idea di una manifestazione in piazza per sabato 2 marzo, a Milano, per opporsi alla legge Salvini. Ad annunciarla è l'assessore alle Politiche sociali del comune di Milano, in un post su Twitter. “Le forme di opposizione alla Legge Salvini dovranno essere molte. Una strada è quella indicata da Orlando (giusta politicamente al di là del numero dei casi). Un'altra sarà quella di aiutare comunque chi finirà in strada. E Milano scenderà in piazza il 2 marzo”, ha scritto Majorino. Sala ha commentato la vicenda, sin troppo scivolosa (una parola sbagliata e Salvini avrebbe partita vinta), rivolgendosi direttamente al ministro, affinché “ci ascolti e riveda il decreto sicurezza”, che “cosi' non va!”. Pur non citando il collega Orlando, il sindaco meneghino ha ribadito che “da settimane noi sindaci avevamo richiesto, anche attraverso l'Anci, di ascoltare la nostra opinione su alcuni punti critici, per esempio ampliando i casi speciali e garantendo la stessa tutela della protezione internazionale ai nuclei familiari vulnerabili… Occorre inoltre valutare l'impatto sociale ed economico del decreto per le nostre citta', gia' in difficolta' a causa di una legge di bilancio che ci ha tolto risorse nella parte corrente: più persone saranno per strada senza vitto e alloggio, più saranno i casi di cui noi sindaci dovremo prenderci cura”.

Parole che, di fatto, vedono la discesa in campo di Sala, nonostante l’attuale sindaco di Milano, di fatto, non abbia un partito alle spalle in grado di sostenerlo e questo non è affatto un dettaglio di poco conto. Per contrasto Majorino, con questa mossa, alimenta le sue ambizioni romane. Particolare da non sottovalutare se si vuole decifrare il caso Milano. Che ora come non mai diventa la capitale pragmatica della politica italiana. Lo stesso atteggiamento della Lega salviniana nei confronti della città dimostra come sia questo il vero banco di prova delle ambizioni dei leader di oggi è di domani. Il caso Milano non è un caso casuale ma è il caso…

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