Nella Lettera Apostolica “Misericordia et Misera” Papa Francesco, fra le altre cose, concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere chi ha commesso il peccato di aborto procurato. Scelta in linea con l’obiettivo del Giubileo straordinario: rilanciare il messaggio di misericordia del Vangelo e ridare così credibilità alla Chiesa cattolica.
Tale potere era stato affidato a tutti i presbiteri dal Pontefice già per il periodo del Giubileo, ma ora viene riconosciuto loro definitivamente. In precedenza, essendo l’aborto un peccato che la Chiesa reputa gravissimo e che comporta la censura della scomunica, l’assoluzione era riservata al vescovo e a dei sacerdoti da lui delegati.
Il cambiamento attuato da Francesco, quindi, consente a chi ha procurato un aborto di accedere più facilmente al confessionale. E’ lo stesso Papa a spiegare che ha voluto questa nuova prassi “perché nessun ostacolo s’interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio”.
Semplificare il ricorso alla confessione non vuol dire declassare il peccato, ma prendere atto che chiunque voglia confessare questo delitto a un sacerdote ha già avviato un percorso penitenziale decisivo che, la grazia di Dio, non può che accelerare. E’ difficile pensare che qualcuno entri in un confessionale per confidare a un prete una colpa così odiosa, solo per ingannarlo. Non ne avrebbe alcun vantaggio e, in definitiva, prenderebbe in giro solo se stesso.
L’esperienza della pastorale post-aborto, insegna inoltre che non si guarisce in fretta dal trauma causato da un tale peccato. Soprattutto le donne che portavano in grembo una vita nascente e l’hanno soppressa, ma anche gli uomini che hanno contribuito in qualunque modo all’omicidio, soffrono a lungo le conseguenze di quella scelta. Spesso, ricorrono più volte al sostegno del confessore e hanno bisogno di un accompagnamento spirituale e psicologico. Al termine di questo cammino, però, queste persone divengono spesso i migliori promotori di una cultura “pro-life” cioè anti-aborto. Lo prova il fatto che negli Stati Uniti, dove in molte diocesi i sacerdoti hanno questa facoltà da più di vent’anni, i movimenti contrari all’aborto sono molto diffusi.
Il sacramento della Riconciliazione, come ricordato altrove da Francesco a proposito dell’Eucaristia, non è, in questa visione, “un premio per i perfetti”, ma “un generoso rimedio” che favorisce la redenzione del peccatore pentito, profondamente addolorato per ciò che ha fatto e deciso a non ricadere in quella colpa. La scelta papale responsabilizza quindi i sacerdoti e li spinge a essere sempre più vicini al popolo di Dio e alle sue sofferenze, nella misericordia e nella verità.
Francesco lascia la scomunica, che sottolinea la gravità del delitto d’aborto. Ma, assecondando una tendenza già diffusa in molte diocesi del mondo, attribuisce ai sacerdoti una possibilità che consentirà un numero maggiore di confessioni di questo peccato, aumenterà la diffusione della grazia divina e quindi della cultura favorevole alla tutela della vita. Solo una concezione errata della Chiesa, purtroppo diffusa anche fra i cattolici, vista come istituzione che deve vietare e castigare, impedisce di coglierne il senso. Suo scopo primario non è punire i peccatori, ma avviarli verso la salvezza offerta da Cristo.