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La politica non è uno scherzo

Pochi mesi fa è morto Tullio de Mauro, linguista di fama internazionale, faro di cultura e umanità. “Solo un po’ meno di un terzo della popolazione italiana – scriveva – ha i livelli di comprensione della scrittura e del calcolo ritenuti necessari per orientarsi nella vita di una società moderna“.

La percentuale degli italiani che comprende i discorsi politici o capisce come funziona la politica italiana, aggiungeva, “è certamente inferiore al 30%“. Un terzo della popolazione, dunque. Il che – se non ci trovassimo in un contesto come questo – mi costringerebbe a farvi riflettere sul fatto che le due persone che siedono di fianco a voi, non sanno orientarsi nella vita di una società moderna e non capiscono come funziona la politica italiana. Nel nostro caso si tratta – ovviamente – una boutade, ma, fuori di qui è la realtà. Una realtà inquietante.

Non sappiamo, il che è già molto grave. Ma, anche se sapessimo, non capiremmo. Il che è ancora più grave. Un uno-due devastante. Letteralmente. Però votiamo. E si vede. Cultura – lo sapete – viene dal verbo latino colĕre, che significa “coltivare”. Lo dico solo per ricordare a tutti noi che, nemmeno la pianta migliore – se non viene coltivata, con sapienza, cura, attenzione, costanza e amore – potrà dare i frutti che dovrebbe dare e che ci aspettiamo da lei.

Il che ci rimanda al cuore del tema e del problema: la “coltivazione” dell’uomo in quanto “albero” della politica. In questo senso, allora, non ci deve sorprendere che uno dei vertici della cultura contemporanea come Zygmunt Bauman considerasse Papa Francesco “l’unica figura pubblica dotata di autorità planetaria” e che ne sottolineasse, con particolare forza, il “coraggio e la determinazione di scavare le radici profonde del male, della confusione e dell’impotenza attuali e di metterle in mostra”.

Bauman si riferiva in particolare a ciò che Papa Francesco ha detto a proposito del dialogo: “Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo, cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale.” Dialogo che il Pontefice pone come compito dell’educazione. “Questa cultura del dialogo – scrive, infatti, Francesco – dovrebbe essere inserita in tutti i percorsi scolastici, come asse trasversale delle discipline”.

“I problemi che oggi abbiamo di fronte – conclude Bauman – non ammettono bacchette magiche, scorciatoie e cure istantanee, ma richiedono niente meno che un’altra rivoluzione culturale”.

Ed eccoci, dunque, al punto: solo attraverso la coltivazione, l’educazione, cioè, le persone possono tornare ad essere il sale di una politica pericolosamente insipida. Una politica che – per dirla con Bauman – accoglie le “paure popolari” come un “minerale prezioso da cui ricavare forniture fresche di capitale politico” e ci fa entrare in quella che il sociologo polacco definisce l’epoca della “sussidiarizzazione” nella quale “gli stati non vedono l’ora di scaricare i propri doveri e le proprie responsabilità e […] il compito ingrato di riportare il caos all’ordine”, mentre le “vecchie località e i vecchi comuni serrano i ranghi per assumersi queste responsabilità” in una sorta di “ritorno alle tribù”. Questa è la prospettiva. Ed è evidente che questa non è la politica, ma la morte della politica.

La politica propriamente intesa è tutt’altro. E ha bisogno di tutt’altro. Ha bisogno di valori e ideali e di coscienze che li riconoscano e li rispettino; di chi ascolta (valori), non di chi sente o, peggio, fa finta di non sentire; di chi vede (sia l’altro da sé, che la prospettiva che coinvolge entrambi), non di chi sta a guardare o, peggio, si volta dall’altra parte; ha bisogno di chi dà, non di chi prende; di chi serve, non di chi vuole essere servito. E, soprattutto, ha bisogno di chi sa (cultura), non di chi ignora, perché, nelle mani sbagliate, lo strumento più perfetto, nella migliore delle ipotesi è inutile, nell’ipotesi intermedia è dannoso, ma, nell’ipotesi peggiore, diventa pericoloso. Esattamente ciò che diventerebbe, ad esempio, uno Stradivari, se decideste di affidarlo a me, e mi chiedeste di suonare per voi i Capricci di Paganini.

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