La pazienza è finita

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La notizia della gente accalcata davanti ai Caf pugliesi per chiedere il reddito di cittadinanza non è solo l’immagine di un Mezzogiorno disperato, lacerato nel suo tessuto sociale e ostaggio di una disoccupazione dilagante. Ma è anche, e soprattutto, quella di un Paese che dalla politica, ora, pretende risposte immediate. Pochi fotogrammi che raccontano meglio di qualunque analisi le genesi del risultato elettorale. Gli italiani hanno sonoramente bocciato non tanto alcune scelte di governo quanto i concetti stessi di pianificazione e progettualità. 

Sul bisogno di avere “subito” una soluzione alle principali criticità della popolazione i partiti usciti vincitori dalle ultime consultazioni hanno impostato la loro campagna elettorale. Reddito di cittadinanza, appunto, per colmare il vuoto del lavoro che non c’è; stop all’immigrazione per far crescere la percezione della sicurezza e allontanare l’ombra del terrorismo; meno tasse per mettere (prosaicamente) più soldi nelle tasche degli italiani. 

Promesse che ora devono tramutarsi in una presa di responsabilità. In un impegno da portare avanti, salvo rischiare un tracollo di consensi e, cosa ancor più grave, una totale perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni. Se fino a ieri, infatti, dai banchi dell’opposizione si poteva gridare scandalizzati alla “casta”, alla “politica dei palazzi” e agli “interessi di parte”, oggi gli equilibri sono invertiti. 

Chi ha vinto è chiamato governare e, quindi, portare a termine il programma per il quale è stato scelto. Con un’ulteriore avvertenza: l’inflazione di promesse che ha caratterizzato gli ultimi mesi, i toni usati, le stesse modalità con cui l’opposizione è stata portata avanti dal febbraio 2013 a oggi non lasciano spazio alle scuse del caso, fossero anche basate sulla cruda realtà. “L’Europa non ce lo fa fare”, “abbiamo trovato una situazione disastrosa”, “stiamo riparando i danni di chi ci ha preceduti”, sono frasi che ormai fanno parte della Seconda Repubblica. Quella, ha spiegato un raggiante Di Maio, tramontata all’alba del 5 marzo. 

Il tempo delle lunghe attese, nella percezione dei cittadini, è finito. E’ arrivato quello delle risposte. Ed è forse questo che ha spinto Renzi a chiudere a qualunque alleanza. Il ragionamento sotteso, molto cinico, sembra quello di aspettare gli avversari al varco. Di tendere la trappola e poi farla scattare nel momento in cui si registreranno le prime incertezze, si profileranno i primi muri. Una strategia, se così fosse, personalistica. Lontana da quella preminenza “dell’interesse generale” cui ha fatto riferimento Mattarella. Ma che stavolta potrà far leva sul diffuso sentimento d’impazienza che attraversa l’Italia da Nord a Sud.