Resto convinto che le parole debbano ritrovare la propria funzione smarrita. Penso che la credibilità si un bene inestinguibile. Soprattutto in un Paese che in passato, come ho già detto, ha sperperato tonnellate di credibilità sull’altare del consenso facile e veloce. Al mercato della fiducia, gli interlocutori ti misurano – lo ripeto – sulla coerenza tra ciò che dici e ciò che fai. Vale per le persone, vale per le imprese, vale per i sistemi complessi quali sono oggi gli Stati globalizzati. Se la tua parola non è giudicata affidabile, serve poco rassicurare, promettere, annunciare.
Ho sempre cercato di applicare questa convinzione in modo quasi sacrale. Sono stato spesso accusato di parlare troppo poco e criticato perché ho scelto uno stile di comunicazione di basso profilo, istituzionale e poco battagliero. Di errori ne ho sicuramente commessi. Ma il valore delle parole rimane per me uno dei pilastri attorno ai quali costruire una buona politica. Per esempio, molto banalmente, se assumi un impegno, poi non puoi confidare nella memoria corta dei cittadini e non onorarlo. Né puoi affidarti alla logica pokeristica del rilancio continuo – oggi una promessa, domani un’altra -, perché alla fine il bluff viene scoperto.
Noi, per esempio, avevamo assunto l’impegno di abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Più volte, in Parlamento e fuori del Parlamento. Alla fine l’abbiamo fatto, a dispetto delle resistenze manifeste e di quelle meno manifeste (e per me certamente più sorprendenti).
All’inizio del mio mandato, per citare un altro caso che mi sta particolarmente a cuore, avevo detto che, qualora si fosse dimostrato che il governo aveva penalizzato le politiche per la cultura, mi sarei dimesso. A giochi fatti, nonostante una coperta che sembra sempre troppo corta a chiunque metta mano al bilancio pubblico, in quei mesi le risorse per cultura, scuola e università sono aumentate. Penso soprattutto al programma ambizioso, nella dotazione e nelle modalità di raccordo con la Banca europea per gli investimenti, in materia di edilizia scolastica. O al diritto allo studio, il cui finanziamento abbiamo reso strutturale, grazie in primo luogo all’impegno e alla passione del ministro Maria Chiara Carrozza. In un Paese nel quale le disuguaglianze continuano a crescere, all’interno e nel rapporto con le altre società avanzate, il tanto evocato “ascensore sociale” doveva e deve ricominciare a muoversi, a funzionare. poi, certamente, si poteva fare di più. Ma l’aver mantenuto fede a quanto detto era per me priorità assoluta.
E questo, oltre a essere motivo di rammarico, suggerisce quanta attenzione chi ha incarichi di responsabilità pubblica deve riservare al valore delle parole. C’è ancora un’alterativa all’annuncio compulsivo? Se non esageri, tracimi, insulti, puoi essere ascoltato? io penso di sì. E ne sono certo oggi più di ieri. Anzi, credo sia un dovere opporsi a quella deriva quando lo si ritiene necessario.
Tratto da “Andare insieme, andare lontano” (ed. Mondadori)