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La nuova guerra fredda è sul web

Dopo le voci insistenti dei mesi scorsi, pochi giorni fa l’annuncio definitivo: Vladimir Putin ha firmato la legge che darà il via all’operatività di uno spazio virtuale di marca completamente russa, ribattezzato RuNet, ossia una rete internet russa capace di sganciarsi dal World Wide Web proteggendo i sistemi di Mosca. La notizia, in realtà, è arrivata come un fulmine a ciel sereno soltanto per i non addetti ai lavori, dal momento che già dal 2014 la Russia ha visto crescere sempre più la necessità di portare ad un livello più alto la difesa del suo cyberspazio implementando misure cautelative che possano consentire al Paese “virtuale” di sganciarsi dai sistemi che dietro al famoso “www” rispondono al volere degli Usa, promotori dello spazio virtuale sul quale operiamo tutt’oggi. Non a caso, nel corso di una seduta del Consiglio di Sicurezza tenutasi diversi anni fa, Putin tenne a rimarcare le tre prerogative da perseguire in difesa del cyberspazio di Mosca: la protezione delle reti di comunicazione governative, la stabilità e la sicurezza del segmento russo di internet, nonché lo sviluppo di tecnologie, sistemi e software autoctoni in risposta al dominio perpetrato dagli Stati Uniti nel mercato globale. Il ritardo tecnologico anche in materia di cyber security di cui soffre il Paese ha preoccupato non poco il Cremlino, conscio di dover implementare in fretta delle misure ad hoc sul modello di quanto fatto dalla Cina.

Proprio in questo punto, però, è necessario considerare delle divergenze tra gli intenti russi e quelli di Pechino. La Cina ha effettivamente creato una rete di servizi “parallela” a quella occidentale chiudendo il sistema a doppia mandata (si pensi ai social network alternativi promossi da Pechino). In base a quanto accaduto nel Celeste Impero molti hanno già puntato il dito sulla presunta esigenza di Putin di “censurare” il web russo con la paura che questo possa veicolare la presente e futura opposizione nei suoi confronti, ma in realtà l’opposizione partita dal web ha sempre influito ben poco in un Paese dove spesso e volentieri la rete si è dimostrata molto più “open” di quella occidentale in materia di idee e, soprattutto, diritti d’autore. Inoltre, l’utilizzo esclusivo del RuNet non cambierebbe qualitativamente lo status quo dell’utilizzo tendenzialmente “locale” che il popolo russo ha sempre fatto della rete. La natura del provvedimento adottato da Mosca risiede tutta nell’ambito della strategia militare: in un periodo di crescente utilizzo dei cosiddetti attacchi hacker, il RuNet consente al cyberspazio di scollegarsi e operare in totale autonomia anche nel caso in cui gli Stati Uniti potrebbero operare per alterare i cosiddetti Dns “radice” e rendere irraggiungibili tutti i siti operanti con un dominio “.ru”. Washington, infatti, possiede le “chiavi” per poter accedere al World Wide Web rendendo inevitabilmente dipendenti i sistemi di tutti i Paesi che vi operano all’interno. Inoltre, la protezione dei dati sensibili dei cittadini russi dalle ingerenze esterne è sempre stata una priorità del Cremlino, come dimostrato dalla chiusura di diverse piattaforme social tra cui Linkedin e la creazione di nuove, come il famoso VKontakte. La Russia non punta ad un isolamento dal mondo, dal momento che sfuggire dalla rete risulta essere impossibile per gli apparati russi che operano nel medesimo sistema. L’obiettivo che viene perseguito è diverso: autonomizzare il dominio, consentendo una “disconnessione” strategica dal World Wide Web in caso di potenti cyberattacchi, nonché proporre a diversi Paesi geopoliticamente “non allineati” a Washington un nuovo modello di rete che filtri le informazioni dall’alto, creando così una sorta di “patto di Varsavia” del web, con Mosca e Pechino in qualità di prime aderenti.

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