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La minaccia idrogeologica e la sofferenza idrica con cui convive l’Italia

Foto di Tumisu da Pixabay

Siccità, aridità, rischio desertificazione. Se ne parla da mesi. Con l’arrivo della stagione estiva (secondo i dati storici, tra le più calde che si ricordi), il tema già caldo è diventato bollente. Quanto di tutto questo è vero? Ci sono responsabilità? e di chi? Alcune regioni sarebbero a rischio di desertificazione. Tra queste la Sicilia: secondo alcuni studi, il 70% del territorio dell’isola rischia di diventare desertico. Una triste realtà. Ma non tutto quello che si dice è altrettanto drammatico. I grandi laghi del Nord Italia, ad esempio, mostrano una decrescita dei livelli che potrebbe essere fisiologica, almeno secondo i dati settimanali dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, analizzando i dati dell’European Drought Observatory. Le precipitazioni dei mesi scorsi hanno ridotto il deficit accumulato nella stagione secca, ma in alcuni casi sono riuscite a compensare la carenza degli apporti nivali. Il lago Maggiore è sopra la media (90,3% di riempimento), Sebino e Benaco la rispettano, ma il lago di Como è addirittura tornato sotto il valore medio del periodo (riempimento: 72,4%). https://drought.climateservices.it/bollettino-italia/bollettino-maggio-2023/

Anche un altro rapporto fornisce un quadro sorprendente. “Water Economy in Italy”, il primo rapporto sulla risorsa idrica in Italia redatto da Proger, società di ingegneria, con la collaborazione della Fondazione Earth and Water Agenda, e presentato in Senato alla vigilia del World Water Day, conferma un quadro insolito. L’Italia è più piovosa di paesi come l’Olanda o la Germania. Eppure è a rischio siccità. Com’è possibile? Uno dei motivi potrebbe essere la carenza di infrastrutture idriche adeguate e una rete di distribuzione colabrodo: oltre il 40% dell’acqua potabile prelevata non arriva ai rubinetti. La ricerca ha confermato che l’Italia convive con una minaccia idrogeologica e con una sofferenza idrica importante, ma non dimentica di indicare alcuni punti critici. La piovosità in Italia, registra 301 miliardi di mc di pioggia in media, ma solo l’11% delle precipitazioni è prelevata per vari usi.

Anche i dati del laboratorio REF ricerche confermano quella che non è altro che una cattiva gestione del sistema idrico nel suo insieme. Oggi si ricicla di tutto, ma stranamente nessuno parla mai di riciclare l’acqua. L’acqua riciclata potrebbe servire per uso irriguo in agricoltura. O negli impianti di raffreddamento industriali. O per l’alimentazione delle caldaie, come acqua di processo e nell’edilizia. Nei centri urbani potrebbero essere utilizzate per irrigare parchi e zone residenziali e per usi ricreativi: dalle fontane alla ricarica di laghi e corsi d’acqua. Invece niente di tutto questo non avviene, se in poche rare eccezioni. I reflui potenziali che raggiungono una qualità tale da essere destinati al riutilizzo sono mediamente il 23% del volume depurato, con punte del 41% nel nord-ovest e del 6% nel centro. Ma solo il 4% risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo). E quasi esclusivamente nelle regioni settentrionali.

È ancora. Mediamente in Italia, il 36,2% dell’acqua trasportata dalla rete idrica non raggiunge il consumatore. Nel 2020, (secondo i dati ISTAT) dei 2,4 miliardi di metri cubi immersi nella rete ben 0,9 sono andati dispersi. Una perdita giornaliera media di 41 metri cubi d’acqua (un metro cubo d’acqua equivale a mille litri) per chilometro di rete. Una quantità enorme. Che peraltro grava sulle tasche dei cittadini: sono loro che pagano queste perdite. Ma che ha un peso non indifferente anche sulle riserve idriche nazionali: molte centrali idroelettriche hanno dovuto chiudere a causa della mancanza di acqua. Cosa che non sarebbe mai avvenuta senza questi sprechi.

A giugno, è entrato in vigore il Regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo EU 2020/741. Una norma importante. Non solo perché definisce i requisiti minimi per l’utilizzo in ambito irriguo delle acque di recupero. Ma anche perché promuove un utilizzo sostenibile dell’acqua (tema questo già trattato dalla direttiva quadro sulle acque, Direttiva 2000/60/CE). Eppure nessuno ne ha parlato.

Altro punto critico la vetustà degli impianti. La rete di acquedotti italiani si estende per 425 mila chilometri (oltre 500 mila se si considerano anche gli allacciamenti). Ma, come confermato dal FAI, il 60% di questa rete è stato costruito oltre trent’anni fa. Il 25% addirittura supera i 50 anni. Eppure nessuno parla di realizzare interventi per modernizzare la rete. Magari adottando nuovi sistemi – in alcuni paesi in uso da decenni – per segnalare le perdite. Si preferisce spendere miliardi di euro per realizzare altre opere (come il ponte sullo Stretto di Messina).

Ma ancora non basta. Secondo alcuni, l’Italia sarebbe al secondo posto tra i paesi dell’UE per prelievo di acqua dolce per uso potabile. Il prelievo di acqua pro capite, in Italia è di 153 metri cubi annui di acqua per persona. Peggio del Bel Paese solo la Germania (con 157 metri cubi). Tutti gli altri paesi consumano molto meno. Terza è l’Irlanda con 128 metri cubi per persona all’anno. Quarta la Bulgaria (119). E poi la Croazia (111). La maggior parte dei paesi dell’UE si attesta tra 45 e i 90 metri cubi pro capite. Molto, molto meno di quello che consumano gli italiani. Questo significa che ci sarebbe molto da fare sotto il profilo delle buone prassi.

Eppure nessuno, in Italia, quando parla di siccità o di aridità o di rischio desertificazione, parla di “impronta idrica”. In Italia, l’impronta idrica, ovvero la somma tra l’utilizzo diretto e quello per produrre beni e servizi che vengono consumati, è tra le più alte in Europa (ancora una volta). Secondo il WWF, ogni italiano ha un’impronta idrica di circa seimila trecento litri d’acqua al giorno tra consumo diretto (per lavarsi, cucinare, pulire o innaffiare le piante) e indiretto (l’acqua utilizzata per produrre i beni e i servizi della vita di tutti i giorni). Questo significa che basterebbe cambiare stile di vita, scegliere prodotti meno invasivi sotto il profilo dei consumi idrici, ritornare alla dieta mediterranea (secondo alcuni esperti consentirebbe un risparmio medio di 1400 litri di acqua virtuale al giorno) per consumare meno acqua. E per poter fronteggiare le crisi idriche in modo più sereno e senza catastrofismi.

Siccità, aridità, desertificazione sono segni dei cambiamenti climatici. Ma anche (e non poco) della cattiva gestione di questa risorsa importantissima e del comportamento irresponsabile di tanti.

C. Alessandro Mauceri: