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La legge come arma contro la famiglia

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Scriveva don Oreste Benzi nel suo ultimo libro, pubblicato postumo, “Nel cuore della famiglia”: “Dio ha creato l’uomo per fare umanità. Non è bene che l’uomo sia solo, che esista come realtà a sé stante, è bene che sia Adam, cioè, essere per fare umanità”.

Dunque, diceva don Benzi, “non è bene che l’uomo esista come realtà a sé stante”, cioè come individuo, come soggetto autocentrato sui suoi bisogni, sui suoi impulsi e sui suoi desideri soggettivi. La persona umana è un “essere in relazione”, in comunione, in collaborazione. La vita stessa prende forma dalla relazione complementare dei due, maschio e femmina, che diventano una carne sola. La complementarietà delle differenze è vitale, genera vita ogni istante dell’esistenza, ed è alla base di una formazione equilibrata, veramente libera e pienamente consapevole, dell’identità e della personalità, educa all’amore, per se stessi e per gli altri, come conoscenza e come accettazione e valorizzazione delle differenze. E così, forma persone e cittadini maturi, adulti con rapporti sereni in società. In famiglia si apprende il valore della persona umana, di ogni persona, ciascuna come soggetto eguale di diritti e di doveri, unico, singolo e irripetibile, con differenti ruoli e responsabilità, nella famiglia stessa come in società.

La famiglia, fondata sull’unione stabile di un uomo e una donna, aperta alla procreazione come frutto dell’amore e dono della propria differenza nella comunione, fa quindi l’umanità, cioè, la società. Questo principio, che è antropologico, è di semplice evidenza naturale, e su questo dovrebbe fondarsi ogni altro aspetto della vita sociale e dell’organizzazione civile. La famiglia è la prima cellula dell’organismo sociale: come dall’unione di un gamete maschile con uno femminile prende vita un nuovo essere umano, così dal matrimonio tra un uomo e una donna nasce la società.

La famiglia è l’embrione della società. Dovrebbe essere quasi banale, ricordarlo. Invece non lo è affatto. Quanto sta accadendo, con l’arroganza legislativa che caratterizza l’insolito iter normativo del ddl Cirinnà, è un vero e proprio attentato alla famiglia, cioè, al cuore della civiltà occidentale e dell’umanità. Questo disegno di legge è una bomba nucleare pronta a esplodere nella società: rappresenta un attacco al nucleo stesso della società.

Difendere la famiglia così com’è e come non può non essere significa difendere la persona umana e l’umanità nel suo complesso. La famiglia, infatti, è il cuore della società. La cellula viva, il nucleo fondante, la prima comunità naturale. È la pietra miliare su cui si costruisce l’intero sistema legislativo, giuridico, organizzativo, amministrativo, della società civile. O almeno così dovrebbe essere. La legge che non si fonda sulla natura, ma anzi la nega e la contraddice, e neppure si fonda sull’etica religiosa, diventa arbitrio. Cambia con gli umori e le ideologie del momento, s’impone con la dittatura della maggioranza in Parlamento, che non corrisponde spesso – come in questo caso – alla maggioranza della popolazione, e trasforma desideri, interessi individuali e pretese soggettive in diritti.

La famiglia è un bene pubblico, non un interesse privato. Esiste ed è riconosciuta nell’interesse prioritario dei figli, che sono il bene supremo dell’umanità, il futuro della società. La famiglia, in quanto società naturale fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, ovvero, sulla loro unione d’amore e di reciproca assistenza, stabile e riconosciuta dallo Stato, aperta alla generatività ma che non la pretende, è un diritto sociale, non di singoli individui.  E non è una semplice questione di libertà. La libertà di amarsi, sostenersi reciprocamente, provvedere alla cura e ai bisogni l’uno dell’altro, è riconosciuta e tutelata per legge. Altra cosa è creare forzatamente per legge uno pseudo-matrimonio, che stravolge l’intero assetto giuridico, organizzativo, culturale, etico, antropologico della società.

La parola amore è molto abusata, ma poco praticata, come Papa Francesco ha detto più volte. Spesso nasconde troppi egoismi, interessi individuali. L’amore è dono di sé, e quindi, anche sacrificio, rinuncia. Non è possesso. Chi pretende un diritto alla genitorialità tratta il figlio come un oggetto da possedere, da avere, da procurarsi, da conquistare, magari da acquistare, per soddisfare un proprio bisogno, un proprio desiderio. Non sa rinunciare al proprio desiderio, al proprio bisogno, per il bene del figlio potenziale, che è innanzitutto quello di avere una famiglia, cioè, un padre e una madre. Una famiglia sana, certo, ma una famiglia. Essere genitori non significa soltanto voler bene ai figli e provvedere ai loro bisogni primari, comporta una responsabilità che è anche sociale: introdurre il bambino in società, nella complementarietà delle differenze.

Questa legge funziona come un’arma, usata per occupare e devastare il territorio sacro dei diritti umani, espropriando i bambini per soddisfare desideri degli adulti. Dietro la partita giuridica e politica si gioca una partita più importante, che rischiamo di perdere. Si vuole imporre una idea di essere umano come individuo, singolo, che si relaziona agli altri e al mondo in funzione di un prendere e di un dominare. Ma così entra in crisi l’idea stessa, il valore e lo scopo della società e della stessa legge, che non serve più a regolamentare le relazioni tra persone che vivono in comunità alla pari, ma tutela interessi privati, ora degli uni ora degli altri individui, secondo l’arbitrio del momento, secondo gli umori, le mode culturali e politiche, gli onori o i desideri di onore dei politici che sono in quel momento al potere.

Emanuela Bambara: